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Il biscotto Ogm

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L’Europa cede alle pressioni dell’agribusiness: una coalizione di organizzazioni ambientaliste si mobilita contro l’ennesimo tentativo di deregolamentazione.
Il biscotto Ogm
Il biscotto è servito. Non parliamo di calcio, anche se prendiamo in prestito un’espressione utilizzata in gergo per indicare il verosimile accordo fra due squadre per estromettere i rivali da una competizione. Utilizziamo l’espressione per offrire una possibile chiave di lettura a quanto avvenuto in Commissione europea dove è stato espresso un parere favorevole alla sottrazione delle nuove tecniche di manipolazione genetica (Ngt) dalla normativa sugli Ogm, contraddicendo così la relativa sentenza della Corte di giustizia europea.
È allora proprio la Commissione a rappresentare la prima cialda del biscotto, mentre la seconda è costituita dalla lobby dell’agribusiness. L’agognato via libera ai nuovi Ogm garantirebbe alle multinazionali di estendere il controllo sul settore agricolo europeo e l’accesso a un mercato miliardario. Fra le due cialde del biscotto rimangono imprigionati i consumatori, i produttori biologici e l’agricoltura contadina. E con loro le speranze di dar inizio a una vera transizione ecologica.
Una prospettiva desolante ma non definitiva considerando che l’impasto deve essere ancora infornato. Le organizzazioni della società civile e dei produttori si mobilitano in tutta Europa per bloccare la deriva corporate dell’agricoltura, che potrebbe avere ripercussioni particolarmente gravi sulle produzioni di qualità che caratterizzano il Made in Italy.
Il documento della Commissione presenta, d’altra parte, molti aspetti inquietanti, oltre che poco convincenti. Dopo aver messo in discussione lo stesso principio di precauzione europeo, lo studio riutilizza formule retoriche già utilizzate dall’industria per promuovere la vecchia generazione di Ogm e rivelatesi infondate: i nuovi Ogm potrebbero dunque «contribuire a sistemi alimentari sostenibili», avere «qualità nutrizionali superiori» e potrebbero addirittura avere minor bisogno di input esterni, come nel caso dei pesticidi. In uno slancio di ecumenico filantropismo, si arriva addirittura a ipotizzare «benefici per molti settori delle nostre società».
Abbiamo già sperimentato, nel corso degli anni, come queste promesse siano fallite mentre gli stessi promotori di Ogm di nuova e vecchia generazione incameravano profitti stratosferici esternalizzando i costi sull’ambiente e sulla società e impedendo, di fatto, l’emergere di modelli alternativi basati sui principi ecologici.

L’azione delle lobby

Come già denunciato sulle pagine di Terra Nuova, il tentativo di deregolamentazione in corso ha radici profonde.
L’obiettivo della Commissione di ridurre l’utilizzo di fertilizzanti del 20%, dei pesticidi chimici del 50% e convertire al biologico il 25% dell’agricoltura europea ha spostato l’asse degli interessi dell’industria sul mercato dei semi. C’è però un disperato bisogno di sottrarre le nuove tecniche dai regolamenti sugli Ogm, in particolare per superare lo scoglio dell’obbligo di etichettatura e per poter commercializzare i semi geneticamente modificati. A dare una nuova opportunità all’agribusiness, a seguito del fallimento degli Ogm di vecchia generazione, è Crispr-Cas, una nuova tecnica di mutagenesi. A differenza degli Ogm transgenici, questa tecnica non prevede l’utilizzo di geni esterni. Abbastanza per far finta di niente e dire che le nuove varietà sono identiche a quelle naturali?
Non secondo la Corte di giustizia europea che, nel 2018, impone ai nuovi Ogm le stesse regole valide per gli Ogm di vecchia generazione. La campagna di lobby che scaturisce dalla sentenza è monumentale, quasi epica. Tanto che il Corporate Europe Observatory gli dedica un’indagine esclusiva. Sono i cosiddetti Crispr-Files, una collezione di documenti ufficiali che confermano come il business delle sementi sia oramai diventato l’interesse primario di multinazionali come Bayer, Basf, Corteva (DowDupont) e Syngenta (ChemChina).
Da questi documenti si evincono non solo le azioni di lobby messe in atto dall’industria ma anche l’estensione della rete degli interessi. Particolarmente significativo il caso del think-tank Reimagine Europa, finanziato da importanti fondazioni tra cui Caixa Foundation, Cariplo, Bill & Melinda Gates Foundation, oltre che dai finanziamenti a progetto della stessa Commissione. Tra i membri del comitato consultivo troviamo alcuni volti noti al pubblico italiano come il deputato Paolo De Castro ed Enrico Letta, segretario nazionale del Pd.
È il comitato consultivo a chiedere, proprio nel 2018, il lancio di una «Task force su innovazione e clima», che riceve un finanziamento di 1,5 milioni di euro dalla fondazione di Bill Gates. Lo stesso sito web della fondazione dichiara l’intento di «impegnarsi con un’ampia serie di parti interessate europee sull’editing del genoma nel ventunesimo secolo».

In difesa dell’agroecologia

Di fronte a questa imponente campagna lobbistica si schierano le associazioni ambientaliste, di produttori biologici, di agricoltura contadina che già avevano contribuito a far deragliare i decreti di Natale pro Ogm della ex ministra Teresa Bellanova: «Chiediamo» si legge nel comunicato della coalizione «che, di fronte a questa infausta apertura, i parlamentari europei e nazionali, i governi nazionali, regionali e locali si mobilitino immediatamente per impedire l’ingresso non dichiarato e la coltivazione di organismi geneticamente modificati in Europa. Una vera transizione ecologica si ottiene offrendo supporto all’agricoltura contadina, promuovendo l’agricoltura biologica e favorendo l’agroecologia, l’economia circolare, la filiera corta, e non cedendo alle pressioni delle multinazionali e delle grandi corporazioni agricole. Proprio queste, infatti, otterrebbero il controllo delle filiere agroalimentari, grandi profitti dalla commercializzazione di varietà geneticamente modificate continuando a imporre, di fatto, i vecchi sistemi di produzione e distribuzione che hanno condotto alla crisi ambientale attuale. Inoltre, estendere i brevetti sulle sementi, rappresenta una grave minaccia per la sovranità alimentare delle popolazioni».
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Giugno 2021

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