Nel teatro il blackout è quel momento che serve per trasportare il pubblico da una scena all’altra. Sarà per noi un cambiamento radicale di stile di vita e consumi?
«Mettiamo che un giorno il mondo si svegli e scopra che sono finiti petrolio, carbone ed energia elettrica. Non occorre usare fantasia per immaginarselo, prima o dopo capiterà» recita l’incipit del libro La fine del mondo storto di Mauro Corona.
L’istrionico scrittore di montagna aveva ragione: prima o poi una qualche forma di blackout potrebbe accadere. In qualche forma più lieve ci è già capitata.
Se finisce il gas, il petrolio, se le pale eoliche non girano, se i sistemi di controllo vanno in tilt, cosa possiamo fare? Abbiamo gli strumenti per difenderci? Esiste un piano di emergenza? E se insieme all’energia andasse davvero tutto in malora? Se non ci fosse più internet? Se cadessero tutte le nostre barriere di sicurezza, le forniture di cibo, i controlli, se la fame tornasse a morderci il culo, se la Terra ci si rivoltasse contro? Se, se, se… Potremmo mai essere pronti ad affrontare tutti questi «se»? Avremmo risorse per reagire? Per sopravvivere?
Può darsi che a quel punto non ci sia nemmeno il tempo di farsi troppe domande, perché sarà già troppo tardi. Le cose spesso vanno così, a un certo punto la luce si spegne e… game over.
Ma c’è un’altra possibilità: prepararsi. Il blackout, come espressione, allude a qualcos’altro: un cambio di scena.
Nelle produzioni teatrali il blackout corrisponde al buio totale, quel momento, più o meno breve, che serve a trasportare il pubblico da una scena all’altra. Non ci sono mezze vie. Le luci si spengono semplicemente lasciando il teatro buio mentre le scenografie vengono cambiate, gli attori o i ballerini si preparano per il pezzo successivo. Non avevamo forse bisogno di un cambiamento profondo del nostro stile di vita e dei nostri consumi?
La catastrofe è imminente, forse è già avvenuta: una guerra in corso, il clima che cambia, un’economia in bilico e una finanza sempre sull’orlo del tracollo. La catastrofe, dal greco καταστροφή, «rovesciamento», è un evento che quando arriva sfugge alla comprensione di tutti. Col senno di poi ci appare come un epilogo, drammatico ma necessario, di un lungo episodio che in qualche modo doveva finire. Un finale tragico? Questo dipende da noi.
Se la «megamacchina» si sta per inceppare dovremo pur farcene una ragione. Cercare di rimediare. E quando verrà il buio sapremo forse accoglierlo, senza piombare nella paralisi della paura.
Tratto da
Blackout, di Gabriele Bindi (Terra Nuova Edizioni, collana «Le Formiche Verdi»).
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Articolo tratto dalla rubrica Spunti di vista
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