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Il Covid si cura anche a casa

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Dal professor Cavanna di Piacenza ai gruppi di medici assistiti dall’avvocato Grimaldi, in Italia sono ormai centinaia i sanitari che assistono i pazienti Covid a domicilio intervenendo nella fase iniziale della malattia. E, assicurano, con ottimi risultati, evitando quasi sempre il ricovero.
Il Covid si cura anche a casa
«La risposta al Covid? Eccessivamente ospedalocentrica, con tante, troppe cose che non tornano. Io sono una persona pragmatica, con un’esperienza clinica lunghissima alle spalle e quando ho verificato che curare precocemente i malati a casa funzionava, ho avuto pochi dubbi nell’imboccare quella strada, che se praticata convintamente fin dall’inizio poteva evitare gli intasamenti a cui abbiamo assistito e a cui continuiamo ad assistere»: a parlare è il professor Luigi Cavanna, direttore del Dipartimento di oncologia-ematologia dell’ospedale di Piacenza, una delle città più alla ribalta delle cronache dell’emergenza nella primavera 2020 e che, pur essendo in Emilia Romagna, dista poco da Codogno.
Cavanna è stato uno dei primissimi medici in Italia a recarsi a domicilio dai pazienti, ancor prima che venissero istituite le cosiddette Usca, le Unità di intervento specifiche. Ed è uno degli esempi più citati dalla sempre più ampia schiera di medici che rivendica il diritto-dovere, in scienza e coscienza, di prestare cure domiciliari ai pazienti, anche al di là delle note Aifa o di linee guida istituzionali che danno indicazioni scarse.
«All’inizio dell’emergenza, un anno fa, io e i miei colleghi abbiamo verificato che la maggior parte di coloro che arrivavano in pronto soccorso aveva una storia di 7-10 o più giorni di sintomi che si erano aggravati a casa. Quindi abbiamo deciso di intervenire precocemente proprio a domicilio, con un’attrezzatura essenziale, ma efficace. Andavamo in due, con dispositivi di protezione, ecografo portatile, il necessario per il tampone, il saturimetro che lasciavamo ai pazienti, e come farmaci avevamo antibiotici, idrossiclorochina, l’antivirale, i cortisonici e l’eparina. Davamo le dovute informazioni e lasciavamo anche il kit di farmaci da assumere, poi monitoravamo con costanza. Certo, era una gran fatica e implicava anche un certo rischio, e sicuramente questo non ha incentivato molti medici. Eppure, abbiamo ottenuti risultati più che positivi: nessun decesso, pochissimi ricoverati e comunque guariti. Vogliamo pubblicare questi dati, anche se ci sono mille ostacoli per arrivare alle riviste censite».
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