Prendiamo coscienza del valore profondo della presenza fisica nella relazione con i nostri simili. L’editoriale di Nicholas Bawtree, direttore di Terra Nuova.
In questi mesi di distanziamento sociale e utilizzo massivo della comunicazione virtuale, è urgente prendere coscienza del valore profondo della presenza fisica nella relazione con i nostri simili. Ci viene in aiuto il concetto di intercorporeità, introdotto dal filosofo Maurice Merleau-Ponty, col quale si intende il ricco vocabolario che il nostro corpo utilizza per rapportarsi a un altro corpo senza passare dalla mente cosciente. Si va dal classico sbadiglio contagioso all’articolato rituale di sguardi e movimenti che mettiamo in atto anche solo quando incrociamo una persona per strada. Il carattere inconscio dell’intercorporeità rende più difficile riconoscerne l’importanza, non solo da un punto di
vista ontologico ma anche esistenziale.
Nell’articolo «Intercorporeality and social distancing» pubblicato sulla rivista The Philosopher (n° 108, 2020), la professoressa Luna Dolezal sostiene che le misure messe in atto per affrontare l’emergenza sanitaria hanno comportato non solo l’isolamento dei nostri corpi, ma anche una modificata percezione dell’altro, che da soggetto sociale è diventato una semplice entità biologica. Siamo stati costretti ad apprendere una nuova lingua, che ha visto il sospetto insinuarsi in ogni incontro fisico, anche a livello inconscio. Gli episodi diffusi di pandemic shaming (offese e insulti ai nuovi «untori») hanno molto in comune con la marginalizzazione sociale creata dal razzismo che, ricorda la Dolezal, influenza negativamente anche la salute.
Certo, le emergenze ci sono sempre state, ma adesso dobbiamo fare molta attenzione a come costruiremo la «nuova normalità». In questi mesi i nostri corpi non hanno mai smesso di interagire, sempre più spesso attraverso quella che viene chiamata telepresenza, ma venendo a mancare la presenza fisica si è ridotta drasticamente la ricchezza comunicativa che caratterizza l’intercorporeità.
Trovarsi faccia a faccia con l’altro, ci ricorda il filosofo Emmanuel Lévinas, evoca la paura atavica della minaccia fisica, ma è anche un momento radicale di apertura e alterità. Quando nell’incontro ci assumiamo un rischio, se non materiale, esistenziale ed emotivo, abbiamo l’opportunità di crescere. Opportunità che diminuirà drasticamente se studiare o lavorare solo da casa diventeranno la norma. Infatti è soprattutto dall’incontro fisico con educatori e colleghi, dal rischio esistenziale che ne deriva, che emergono la crescita morale, il senso di appartenenza e di responsabilità, e che allarghiamo i nostri orizzonti.
Come conclude la Dolezal, «l’intercorporeità è molto di più di un’espressione del nostro essere animali sociali, e privarcene ha conseguenze personali, sociali, politiche ed etiche. Il nostro corpo ha bisogno di vedere, di toccare, di interagire positivamente con altri corpi. Se nel breve termine il distanziamento sociale sta contribuendo a rallentare la propagazione del virus, vale la pena riflettere sulle sue conseguenze nel lungo termine quando inizieremo a vivere una nuova normalità».
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