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Il potere delle buste. La satira di Arianna Porcelli Safonov

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L’intervento satirico di Arianna Porcelli Safonov questa volta è incentrato sul titolo “Il potere delle buste”, come sempre tagliente e ironico. Condividiamo il suo intervento con i nostri lettori.
Il potere delle buste. La satira di Arianna Porcelli Safonov
L’intervento satirico di Arianna Porcelli Safonov questa volta è incentrato sul titolo “Il potere delle buste”, come sempre tagliente e ironico. Condividiamo il suo intervento con i nostri lettori.
«Non avevo mai fatto caso al potere che può avere una semplice busta. Le buste dei negozi, quelle serie, intendo. Quelle grandi, sia come formato che come grammatura, in cartoncino, diciamo. Quelle che ci danno quando facciamo acquisti importanti, che non potremmo permetterci ma che sosteniamo, convinti che poi saranno quegli stessi acquisti a sostenerci, a tirarci su il morale e la vita sociale, ogni volta che ne avremo bisogno.
Così, ci facciamo borseggiare in boutique e uscendo ci diciamo frasi inutili, tipo «Dai, una volta ogni tanto ci si deve fare un regalo», «oggi mi coccolo».
Nel frattempo, a furia di coccole, i nostri risparmi scendono negli inferi, la nostra casa è satura di cose inutili e la nostra situazione psicologica è rimasta invariata oppure peggiora, a causa dell’ansia accumulata dalla consapevolezza che il nostro conto lampeggi rosso fuoco.
Ma il momento in cui usciamo dal negozio con la busta ben confezionata dal commesso, con la carta velina che fa capolino dai bordi dorati, a cui si appendono le deliziose, piccole corde in finto raso con le quali ci carichiamo di quel peso luccicante sulle spalle, beh, quel momento non è forse uno di quei famosi momenti in cui si prova un piacere fisico ed emotivo che non è possibile riprodurre in nessun’altra circostanza?! Ci sentiamo potentissimi perché gli altri ci guardano e capiscono dove siamo stati, cosa abbiamo comprato senza che lo si debba postare sui social, senza doverlo raccontare: la busta parla di noi e, al nostro posto, ci presenta come tipi fichissimi e nessuno può contraddire.
Più l’ingombro della busta è importante, più il nostro ego si libra nell’aria e volteggia alla ricerca di qualche occhiata in più, di qualche sorriso di approvazione di quelli come noi, quelli che hanno comprato cose di moda. Quella busta rimane con noi per anni perché il marchio della boutique giustifica un riciclo accurato. Quella busta diventa un feticcio, una specie di supporto ortopedico al nostro ego che, tutte le volte in cui vacilla, può fare affidamento sulla cura del possesso e della sua esibizione. Se sono triste, piglio la busta vuota, ci metto dentro un mio maglione usato, la schiscetta col pranzo, la felpa del pigiama e la sigillo, la stiro con le mani, in modo che le pieghe degli anni si affievoliscano, si accomodino e acconsentano all’uscita straordinaria.
Poi prendo la busta e vado a farmi un giro in città.
Coccolo la busta sul tram, chiedo scusa alle persone vicine che sono carine con me e mi aiutano a sistemarla a fianco al mio posto o sulla cappelliera, in modo che non si rovini perché sanno quanto sia preziosa, lo hanno visto sui giornali, nei cartelloni, sugli schermi giganti in aeroporto.
Nessuno vuole che si rovini un oggetto così charmant.
Se sono arrabbiata e in casa ho una collezione di queste buste ben tenute, posso strafare e caricarmi gli avambracci come un’asina per portarne a spasso anche cinque, sei, improvvisando una specie di sfilata per strada in cui senza proferire parola, le buste grideranno al mio posto: «Guardatela! Ha comprato cose belle e costose, va tutto bene nella vita di questa donna!». Dovrò star solo attenta a non sudare per non bagnare i bordi delle buste, dovrò stare solo attenta a non contraddire la busta, a tenere gli occhiali da vista ben spiaccicati contro il naso e le sopracciglia, in modo che non si veda che la vita mi scoppia fra le mani e che dentro alla busta c’è il nulla che mi sovrasta. Poi, rientrando a casa, dovrò star bene attenta a riporre le buste perbene, per la prossima uscita curativa.
Non avevo mai fatto caso al potere che può avere una semplice busta. Da oggi, fateci caso anche voi e quando incontrate qualcuno con una gigantesca busta sottobraccio, sorridetegli perché ne ha tanto bisogno».
Arianna Porcelli Safonov, nata a Roma e laureata in Storia del costume, ha scritto due libri umoristici, Fottuta Campagna e Storie di matti (Fazi Editore), ed è performer di monologhi di satira e critica al costume sociale. Dal 2018, collabora con l’Uni- versità di Pavia, con una docenza legata alle tecniche di improvvisazione applicate agli ambiti manageriali – www.ariannaporcellisafonov.com
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