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Il segreto della trota

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Provate a osservare un torrente. Se l’acqua è il tempo che scorre, dove pensate che sia il futuro? Più a monte o più a valle rispetto a dove ci troviamo ora? Pensate che sia a valle? Sbagliato!
E’ così che risponde il padre al giovane figlio nell’ultimo libro di Paolo Cognetti, Le otto montagne (Einaudi). Il perché lo scopriamo nel capitolo successivo grazie a una trota, che il ragazzo vede un giorno nel torrente. La trota sta dietro a un sasso, controcorrente, guarda verso l’alto, perché “tutte le cose per un pesce di fiume vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. […] Il passato è a valle, il futuro a monte.[…] Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”.
E’ una storia che mi ha colpito e che fa riflettere sul modo in cui guardiamo al futuro. Tutta questa folle corsa per lo sviluppo, la crescita, la competizione non è forse un tuffo nei vortici del passato?
Se vogliamo davvero evolverci, dobbiamo fare come la trota: rallentare, rimanere a contatto con la vita, prepararci ad accogliere il futuro. Quello che sembra nuovo e moderno, fatto di iperproduzione e massimo sfruttamento delle risorse, è già passato, rotolato a valle. Oggi, molti ricercatori, economisti, medici, agronomi, ingegneri sanno di dover guardare a monte, voltando le spalle a un modello ormai vecchio. Parole come “omeostasi”, “resilienza”, “recupero della fertilità” sono le chiavi di questo cambiamento. Se i genetisti tornano a interessarsi di grani antichi, se i progettisti riscoprono la canapa, se i medici parlano di nutraceutica o agopuntura, lo fanno pensando al futuro.
In Italia siamo fortunati: abbiamo sempre una montagna alle spalle a cui guardare. E’ la montagna da cui siamo discesi, che abbiamo abbandonato, dimenticato, per rincorrere chissà quale obiettivo della vita. La montagna, vera spina dorsale del nostro Paese, porta con sé un insieme di valori, saperi, culture, che non possiamo sistemare nella teca del passato, ma che abbiamo il dovere di declinare al futuro, per la stessa sopravvivenza di chi abita a valle.
Valorizzare la montagna significa anzitutto tornare a riabitarla, a coltivarla, a presidiare i suoi sentieri, le valli, i borghi, i fiumi, i luoghi della fatica e dell’incanto.
La montagna è la riscoperta di un rapporto autentico con le cose, con la natura, con il tempo. La montagna è la metafora di quello che deve ancora venire. Siamo scivolati un po’ troppo a valle. E’ l’ora di tornare alla saggezza della trota.

Editoriale del direttore Mimmo Tringale, tratto dal mensile Terra Nuova Marzo 2017

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