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Il sole e la sua ombra

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Il caldo sole ci regala energia e vitalità, scongelando i cattivi umori invernali e colorando la nostra pelle. Ma attenzione: i danni provocati da esposizioni solari sconsiderate possono essere anche molto gravi.

Il sole e la sua ombra

Cerchiamo di capire come proteggerci al meglio, scegliendo prodotti sicuri per noi e il Pianeta, e imparando alcune strategie per scongiurare indesiderati effetti negativi.

Dopo il freddo e la pioggia, la tentazione di un’overdose di sole è irresistibile. Tuttavia, negli ultimi anni, l’interesse da parte dei media ai possibili danni da esposizione solare ha alimentato la diffusione di informazioni preziose, che ci hanno reso in qualche modo più saggi, distogliendoci dalla malsana tentazione di concederci scriteriate tintarelle.
Ad oggi, la parola d’ordine è: protezione! Ricercare la crema solare ideale non è un’impresa facile, se consideriamo le difficoltà di dover fare i conti con tutta una serie di ingredienti impossibili da decifrare, di fronte ai quali la nostra mente si smarrisce. Per dissipare dubbi e incertezze, facciamo un po’ di chiarezza sull’argomento, cercando di rispondere a due domande fondamentali: esiste davvero la crema solare perfetta? E come possiamo riconoscerla?
La protezione ideale
«Quello dei filtri solari è un argomento complesso» conferma Fabrizio Zago, chimico formulatore e consulente Ecolabel e Icea. «Si tratta in massima parte di molecole messe a punto recentemente e non esiste una sufficiente letteratura scientifica per analizzarne appieno l’impatto sull’ambiente e sull’uomo. Per esempio, solo recentemente si è scoperto che l’Ethylhexyl methoxycinnamate, uno dei più usati, è nocivo per la salute dei coralli».
L’identikit del filtro ideale lo vorrebbe efficace sia sugli UVA che sugli UVB, fotostabile, non assorbibile dalla cute, con un buon profilo tossicologico. «La scelta della cosmesi eco-bio è caduta sui filtri fisici» continua Zago «che agiscono riflettendo la luce solare, cioè biossido di titanio (Titanium dioxide) e ossido di zinco (Zinc oxide). Sono ingredienti che si utilizzano da moltissimi anni, hanno un buon profilo tossicologico e non vengono assorbiti dalla pelle, a meno che non siano in forma nano, cioè di dimensioni comprese tra 1 e 100 nanometri. In questo caso, l’Unione europea obbliga il produttore a dichiararlo in etichetta e nell’elenco degli ingredienti: accanto alla scritta Titanium Dioxide vedremo quindi fra parentesi la scritta “nano”. La forma migliore è quella micronizzata e rivestita (coated). In questo caso la molecola non è sufficientemente piccola da penetrare, ma lo è abbastanza da essere facilmente spalmabile senza lasciare la classica scia bianca. La presenza di antiossidanti nella formulazione, come le vitamine A, C, E o molti estratti vegetali, come quello di tè verde, evita che il filtro si degradi sotto il sole, dando origine ai radicali liberi. Naturalmente non devono essere presenti in quantità microscopiche, e quindi non si devono trovare agli ultimi posti nell’elenco
degli ingredienti».
La tossicità dei filtri chimici
Oltre al biossido di titanio, la Comunità europea ammette una ventina di filtri solari, tutti di origine chimica. Stilarne una classifica è molto difficile. Pur essendo tutti perfettamente legali, gli studi si susseguono e sono pochi quelli su cui non si addensano ombre francamente preoccupanti. I rischi sono quelli di degradarsi sotto il sole, dando origine ai radicali liberi in grado di modificare il DNA delle cellule e penetrare nell’organismo, andando a interferire con il sistema ormonale o provocando
effetti tossici sull’organismo.
Una ricerca dell’Università di Zurigo(1) ha trovato tracce di filtri solari perfino nel latte materno. Lo studio, durato 3 anni, è stato condotto su un
campione di 54 neo-mamme, e ben l’85,2% dei campioni di latte ne conteneva tracce. Fra i filtri che rischiano di degradarsi ci sono per esempio l’avobenzone (Butyl methoxydibenzoylmethane) o l’Ethylhexyl salycilate, entrambi però resi più stabili dalla co-presenza di altri filtri come l’Octocrylene, il Drometrizole trisiloxane e il Bis-ethylhexyloxyphenol methoxyphenyl triazine.
Fra i filtri più problematici, per la loro capacità di penetrare nell’organismo, ci sono i benzofenoni (per esempio l’Oxybenzone o Benzophenone-3), i cinnamati come
l’Ethylhexyl methoxycinnamate, l’Ethylhexyl dimethyl PABA(2) e lo Homosalate. In assenza di certezze, seguendo il principio di precauzione, è meglio astenersi dal comperare prodotti che li contengano.
Effetti devastanti sui coralli e i mari
Benzofenoni, cinnamati e alcuni conservanti, come i parabeni, sono collegati anche al fenomeno dello sbiancamento dei coralli. «Da oltre  10 anni indaghiamo l’effetto delle creme solari sulle barriere coralline, misurandone l’impatto in Messico, Mar Rosso, Indonesia, Maldive e così via» spiega Roberto Danovaro, direttore del dipartimento di scienze ambientali dell’Università politecnica delle Marche. «Ebbene, qualunque crema solare classica ha dimostrato un effetto mortale. Dopo molte ricerche abbiamo capito perché: tutti i coralli hanno delle infezioni latenti, che in realtà svolgono un’azione protettiva nei confronti di virus mortali. Se però i coralli vengono in contatto con le creme solari, queste infezioni esplodono, portando alla morte delle zooxantelle, cioè delle microalghe che colorano il corallo e lo nutrono, portandolo alla morte nel giro di poche ore».
Meno drammatica, ma altrettanto tossica, si dimostra l’azione di questi prodotti anche su alcune forme di vita del Mediterraneo, come le cozze e gli anemoni di mare. «Sicuramente, a causare questo effetto sono tutti i filtri chimici e i conservanti a base di benzene» continua Danovaro. «La buona notizia è che sono già state messe a punto delle molecole in grado di proteggere dal sole, senza inquinare le barriere coralline e i nostri mari». In Italia, prodotti che usano questi filtri non sono ancora arrivati, ma già si trovano in Francia e in Inghilterra. Sfruttano molecole di nuova generazione che si chiamano EHT (Ethylhexyl triazone), MBBT (Methylen bis-benzotriazolyl) e DHHB (Diethylamino hydroxybenzoyl hexyl benzoane).
Sole sì, ma in sicurezza
Simili premesse sono in grado di scoraggiare anche i più fanatici amanti della tintarella. Che fare allora? «Il sole fa bene perché serve alla sintesi della vitamina D» risponde Umberto Borellini, cosmetologo. «È un antidepressivo naturale e può essere utile in diverse patologie cutanee, ma può rivelarsi anche un acerrimo nemico. Le conseguenze di lunghe e incaute esposizioni al sole vanno dall’invecchiamento della pelle alle macchie scure permanenti, fino ai pericolosi melanomi. La luce solare è composta da radiazioni ultraviolette, luce visibile e raggi infrarossi. A causare problemi sono le prime, composte essenzialmente da raggi UVA e UVB che penetrano nella pelle a profondità diverse: gli UVA hanno un alto potere di penetrazione, mentre gli UVB si fermano prima di raggiungere gli strati più profondi. L’overdose di sole sulla pelle non adeguatamente protetta produce danni acuti come eritemi e scottature (provocate dai raggi UVB) e, a lungo termine, anche danni come allergie solari, formazione di rughe e melanomi (dovute agli UVA). La pelle, specie dopo l’inverno, deve essere protetta dall’attacco massiccio del sole: l’imperativo per tutti è usare un’alta protezione alle prime esposizioni. Nella scelta di un prodotto solare non fatevi guidare dalla pubblicità, ma piuttosto dall’etichetta chiara. Assicuratevi che siano presenti filtri sia per i raggi UVB che per gli UVA, cercando sulla confezione il simbolo “UVA” all’interno di un cerchio».
«Proteggersi dai raggi ultravioletti è fondamentale, ma l’abuso di creme solari può fare più male che bene» mette in guardia Giuseppe Palamara, medico chirurgo esperto in medicina estetica, medicine non convenzionali e medicina olistica. «Per arrivare rapidamente all’agognata tintarella, si arriva a spalmarsi e rispalmarsi di crema solare, rimanendo al sole tutto il giorno. Ed è proprio questo il problema. L’abuso, infatti, può provocare problemi alla pelle, incidere in modo determinante sull’intero organismo e sull’inquinamento ambientale. Sono soprattutto i bambini a dover essere tutelati: non andrebbero esposti al sole diretto, ma protetti con appositi costumi coprenti, cappello e occhialini. Anche nel portale della salute della Comunità europea viene raccomandato di non usare creme solari sui bambini al di sotto dei 4 anni di età». «Nei più piccoli, il sistema di autoprotezione degli occhi e della pelle non è ancora completamente efficiente» continua Borellini. «Nel primo anno di vita non è consigliabile esporli direttamente al sole, così come non sempre è consigliabile usare prodotti solari per il potenziale rischio di irritare la pelle delicata. Meglio sfruttare la protezione naturale dell’ombra e di indumenti adatti».
Proteggersi mangiando
A questo punto, la strategia è chiara: rispolverare cappelli, occhiali da sole e caffettani, da alternare alle creme per non esporsi a un’overdose di raggi; togliere accuratamente tutti i giorni ogni residuo di creme solari; non esporsi al sole nelle ore più calde; puntare su un’alimentazione adeguata per aiutare il nostro corpo a difendersi, con tanta frutta e verdura, specie quella arancione, come le classiche carote e albicocche ricche di carotenoidi, i precursori della vitamina A, che blocca il proliferare dei radicali liberi.
Prezioso è anche il licopene dei pomodori e i tanti antiossidanti dei frutti di bosco. La vitamina E svolge la stessa azione rinforzante sulla pelle: la troviamo in molti oli, come quello di oliva, ricco anche di vitamine A e K, come di oleuropeina, un enzima antiossidante. Strategico anche l’olio di pesce per il suo contenuto di Omega
3 e l’olio di enotera o borragine per la presenza di omega 6, preziosi per il buon funzionamento cellulare.
Neppure della vitamina C si può fare a meno: protegge sia dall’eritema che dal foto-invecchiamento. In questo modo, finalmente potremo fare pace con il sole, tornando a guardarlo con la benevolenza che si merita.
Note:
1. Schlumpf M., «In vitro and in vivo estrogenicity of UV screens», Institute of Pharmacology and Toxicology, University of Zurich.
2. Riportato in alcune confezioni ancora con la vecchia dicitura Octyl dimethyl PABA
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