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L’ecovillaggio come risposta alla crisi

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Cresce il numero delle comunità che puntano all’autonomia energetica, che prediligono lo scambio, che riscoprono la terra. Una «ricetta sociale» che potrebbe traghettarci fuori dal baratro.

L’ecovillaggio come risposta alla crisi

Cosa potrebbe accadere se ci rendessimo conto che la recessione economica che sta travolgendo l’Italia, così come diversi altri paesi europei, non è soltanto un periodo transitorio di crisi ma l’inizio di un collasso dell’intero sistema basato sulla globalizzazione?
Molti sono già convinti che sia così. E molti pensano che non sia più sufficiente ipotizzare un sistema economico-finanziario differente, ma che si debba invece adottare un modo nuovo e diverso di vivere su questo pianeta.
Già, perché la crisi non è scollegata dal disastro ecologico e sociale a cui stiamo assistendo. Il Sud del mondo ce lo insegna: villaggi e paesi abbandonati, foreste abbattute, il suolo eroso dalle piogge e da monocolture intensive, meno cibo autoprodotto e prezzi più alti. Eppure la ricetta dei governi è sempre la stessa: crescita e ancora crescita, cioè avere di più delle stesse cose.
Più competitività, più fondi alle grandi industrie, più privatizzazione e via così. Ma se politici e governi sono ciechi, spesso la vista acuta ce l’ha la gente. Che si mette insieme, fonda comunità, sceglie la condivisione, sperimenta modelli alternativi dal basso. Proprio quello che sta accadendo negli ecovillaggi, che in Italia, così come nel resto d’Europa, stanno raccogliendo sempre più interesse e consensi. Che siano un’alternativa possibile? Possiamo pensare a queste esperienze come a modelli da seguire per sfuggire alla crisi o, meglio ancora, per affrontarla superandola? Si è parlato anche di questo al meeting nazionale della Rete italiana villaggi ecologici (Rive), che si è tenuto lo scorso luglio nel Viterbese.
Modello di cambiamento
Gli ecovillaggi nascono per sperimentare, sviluppare e costruire modalità differenti di convivenza, di comunicazione e di condivisione; danno la possibilità di essere meno dipendenti dal denaro, di vivere più a contatto con la natura e di diventare più autonomi nel soddisfare i bisogni fondamentali. Sono la prova che si può vivere con meno soldi ed essere più felici; sono la prova che c’è rimedio alla desertificazione del suolo laddove si impara a cooperare con la natura; ci dimostrano che l’equilibrio idrico può essere ripristinato, che esistono validissime alternative alle monocolture, che le energie rinnovabili possono affrancarci dalla dipendenza dalle multiutility che sfruttano fonti fossili; che ogni regione del mondo può potenzialmente provvedere ai suoi abitanti rifornendoli di cibo, acqua ed energia a sufficienza.
Tutto ciò non è affatto utopia; è già realtà. Sempre più persone nei paesi attanagliati dalla crisi cominciano a pensare che gli ecovillaggi siano ottimi modelli sulla base dei quali plasmare nuove autonomie locali. «In Italia attualmente ci sono 25 ecovillaggi e 27 progetti a diversi livelli di realizzazione, di cui 20 ecovillaggi e 16 progetti aderiscono alla Rete» spiega Francesca Guidotti, presidente della Rive. «La maggior parte di essi è concentrata nel Centro-Nord, soprattutto in Toscana, ma negli ultimi due anni sono emersi progetti in Puglia, Calabria e Sicilia. La comunità sta crescendo gradualmente e si può dire che vi si condensino tutti i principi che condividono anche movimenti olistici ed ecologisti, come quelli legati alle transition town, alla decrescita, alla permacultura e ai beni comuni. Negli ultimi tre anni ho potuto osservare un grande interesse verso gli ecovillaggi, soprattutto da parte di persone che vi cercavano una soluzione al proprio disagio abitativo, lavorativo, sociale» aggiunge Francesca. «Nel 2009 gli iscritti alla newsletter della Rive erano circa 600, oggi sono 4600. Con la crisi economica e ambientale sempre più evidente, molti hanno deciso di fondare un ecovillaggio».
C’è però un rischio: quello che a volte questa esperienza possa evolversi in maniera impropria, allontanandosi dai principi originari. «Purtroppo ci sono progetti che falliscono quando prendono la forma di quello che chiamiamo un «ego-villaggio»; l’individualismo in cui siamo cresciuti ha offuscato molte delle nostre sensibilità relazionali, tant’è che tutti troviamo difficoltà nel prendere decisioni collettive, gestire uno spazio condiviso, ascoltare le esigenze altrui. I pionieri moderni hanno bisogno di reimparare a conoscere i propri bisogni e di formarsi per affrontare al meglio le dinamiche di gruppo».
Le dinamiche vincenti
Ma quand’è che l’ecovillaggio può rappresentare una vera risposta in questo quadro di sempre maggiore povertà diffusa, carenza di lavoro, miraggi di crescita infinita e schizofrenie finanziarie? «Beh, quando si vive insieme, “inventarsi” un lavoro e avviarlo non è troppo difficile» prosegue Francesca «perché l’ecovillaggio è una comunità e in quanto tale ogni individuo è sostenuto dagli altri, c’è solidarietà e protezione reciproca. Alla base della filosofia di questi luoghi c’è l’agricoltura, l’autoproduzione, l’autonomia energetica e l’economia reale, quindi, a fronte di una crisi, la comunità ha un gran numero di beni primari di base su cui può fare sempre affidamento. In più, ha una rete di relazioni locali e internazionali estremamente vasta a cui può appellarsi per scambi di prodotti o competenze. L’ecovillaggio ha tutto ciò di cui ha bisogno; non è un’isola felice, ma si è immunizzato dal comportamento compulsivo del consumatore».
L’Articolo è tratto dal mensile Terra Nuova Settembre 2013.
Terra Nuova Edizioni ha pubblicato il libro Ecovillaggi e cohousing in vendita in offerta su www.terranuovalibri.it, lo shop online di Terra Nuova Edizioni.
Di seguito potete leggere in anteprima alcune pagine del libro:

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