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L’odore dei soldi

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“Finalmente una buona notizia per l’economia italiana”, annunciava con grande entusiasmo la cronista del Tg. “Nel 2016 l’autorizzazione all’export di armi è cresciuta vertiginosamente, arrivando a 14,6 miliardi di euro: +85% rispetto al 2015″… L’editoriale del direttore di Terra Nuova che apre l’ultimo numero della rivista Giugno 2017.
Anche se discendiamo dagli antichi latini, che con “pecunia non olet” (i soldi non puzzano) hanno coniato una sorta di manifesto ante litteram del liberalismo, per noi l’odore dei soldi ha la sua importanza.
Gli armamenti più venduti all’estero dalla nostra industria bellica sono bombe, siluri e missili, ma gran parte dell’incremento in questione è dovuto alla fornitura al Kuwait di 28 Eurofighter, prodotti dalla Leonardo, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze italiano.
Si tratta di un caccia di ultima generazione protagonista di numerose missioni di ricognizione e bombardamento durante líintervento militare in Libia del 2011. Non bisogna essere convinti militanti pacifisti per interrogarsi sull’impiego e la destinazione di tutte queste armi che vendiamo all’estero.
La legge n. 185 del 1990 vieta l’esportazione di materiale bellico verso i paesi che, contro le direttive Onu, si trovano in stato di conflitto armato o la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione, o ancora che siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
Eppure, tra i principali destinatari del nostro export bellico troviamo, oltre al Kuwait, Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Paesi in cui i diritti umani vengono sistematicamente violati e su cui, tra le altre cose, ci sono pesanti ombre sulla fornitura di armi e appoggio all’Isis.
Come se non bastasse, oltre il 58% delle autorizzazioni all’esportazione di armi riguardano i paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente, aree di grandi conflitti governate in gran parte da regimi autoritari. Fornire armi a questi regimi, oltre a contribuire ad alimentare le tensioni in quelle zone, vuol dire accrescere la massa di migranti che con ogni mezzo cercano rifugio sulle nostre coste.
E’ evidente che non si esce dalla crisi producendo armi, ma beni di qualità, a basso impatto ambientale, in grado di assicurare maggiore benessere a chi li produce e li utilizza. Gli esempi non mancano. Rimanendo nel settore metalmeccanico, un comparto di eccellenza in grande crescita è la bicicletta, di cui siamo il principale produttore europeo.
A differenza delle armi, l’industria della bicicletta non fa bene solo al Pil, ma porta con sé numerose ricadute positive. Il recente rapporto “L’ABiCi della ciclabilità” di Legambiente stima che gli oltre 1,7 milioni di italiani che vanno sistematicamente in bicicletta assicurano una riduzione dei costi sanitari diretti per 138 milioni di euro e di quelli indiretti per 674 milioni. Senza poi considerare che i 5,7 miliardi di chilometri percorsi in bicicletta comportano un risparmio di carburante di 127 milioni, a cui vanno aggiunti i benefici derivanti dalla riduzione di emissioni di gas serra e del rumore, oltre al miglioramento della qualità dellíaria. Il che significa un complessivo miglioramento della qualità della vita per tutti i cittadini.

Editoriale tratto dal mensile Terra Nuova Giugno 2017

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