Mangiare e gustare dovrebbe essere un atto consapevole di ricongiungimento con la terra. L’alimentazione è oggi gravata da ingiustizie insopportabili e da tecnologie pericolose, e per questo i suoi processi sono occultati al cittadino. Dobbiamo rivendicare il diritto umano alla conoscenza, ma non solo. Oltre a questo diritto alla conoscenza dei processi del cibo, con etichette più trasparenti, dobbiamo far sorgere in noi, come atto personale e politico di libertà, l’esperienza di quel legame, rafforzando la nostra attitudine a riconoscere il cibo, al di là dell’etichetta, con la percezione gustativa. Il cibo non deve essere considerato un carburante.
Il petrolio è oggi una commodity, ossia una merce generica per le trasformazioni industriali. Pur provenendo dalla terra e dagli esseri viventi di generazioni passate, sul piano commerciale non risente della sua origine, non importa a nessuno da quale terra provenga e da quali processi si sia generato. Lo stesso avviene oggi per il gas, il carbone, i metalli, il legname e tante materie prime, i cui derivati usiamo costantemente senza avere idea della loro provenienza. Questo annullamento di origine, che ci distacca dalla terra, si manifesta oggi anche nella mercificazione del cibo. Il cibo stesso diviene commodity. Il caffè, lo zucchero, le farine, i grassi delle produzioni industriali sono commodity identiche in tutto il mondo. Abbiamo iniziato a farlo con le merci dei paesi colonizzati, dove questa espropriazione era più facile, e via via lo stiamo estendendo a tutte le produzioni alimentari. Il legame delle materie prime alimentari con la terra cancellato per sempre annulla la nostra possibilità di connessione con essa e i suoi abitanti.
Come cambiare orizzonte e direzione
Nonostante le forze contrarie, occorre che pratichiamo un’agricoltura e un’alimentazione che seguano una missione polarmente opposta a quella delle commodity, un’agricoltura che sappia esaltare l’origine dal terreno e rendere unici e individuali gli alimenti nella loro relazione con un ambiente e un agricoltore. Questo dovrà avvenire non solo per effetto della tracciabilità della filiera, che posso ricostruire intellettualmente, risalendo linearmente, come per le generazioni, ma dovrà attuarsi addirittura per un legame intimo che posso sviluppare col cibo e nella circolarità dell’assaggio, nella capacità di riconoscere sapori e origini, tanto che cibo di origini diverse si evidenzi in me come individuale e unico. È il saper apprezzare l’effetto intrinseco della qualità. È l’assaggiare che rende saggi. Etimologicamente, il saggio è colui che sa assaggiare, e tutto ciò che esalta la sapidità rende saggi. Il sale è sinonimo di intelligenza e il sale della terra in noi ci arriva tramite il cibo.
Favorire la coevoluzione
Se coltiviamo bene, siamo in grado di trasferire oggettivamente nel cibo la qualità della terra e di tutto il contesto ambientale e umano dove esso si è generato, e questo permette di riconoscere nel gusto la terra di quel cibo. Per fare questo occorre lavorare adeguatamente il terreno. Il suolo non è un substrato morto utile per l’aggiunta di nutrienti di sintesi, come l’agricoltura iperproduttiva insegna. È invece l’ambiente più ricco di vita e popolato del nostro pianeta. Nell’atmosfera, la presenza di organismi viventi è rarefatta, ma è nel suolo fertile che si concentra la maggiore presenza di esseri viventi della Terra, in miliardi per centimetro cubico.
Il contadino ha sempre coltivato, innanzitutto, lo specifico e ipercomplesso ambiente vivente della sua terra. È il patrimonio più prezioso che gestisce. Lo ha custodito e lo ha fatto sempre coevolvere con piante e animali, e con se stesso, conferendogli una caratteristica riconoscibile. Così, le terre del Chianti, o del Dolcetto, o del Cirò sono il frutto del lavoro millenario di gruppi etnici, che hanno allevato e fatto coevolvere il suolo e i suoi esseri viventi con le piante, gli animali e gli esseri umani, tanto da trasferirgli quel connotato etnico.
Cosa sceglieremo?
Si tratta ora di scegliere come proseguire. Possiamo praticare un’agricoltura che annulla tutto questo e produce commodity, o fare un passo evolutivo ulteriore. Possiamo cioè fare della terra che coltiviamo una individualità, che esprime in modo originale e irripetibile il nostro lavoro e la vita di tutti gli esseri che popolano quell’ambiente. Ogni azienda agricola può diventare un’individualità agricola e produrre del cibo che comunichi all’essere umano quell’unicità e che, nell’assaggio, ne favorisca la saggezza. Questo è lo scopo principale dell’agricoltura biodinamica.
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Brano tratto dall’articolo
Cibo e convivio
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