Poche multinazionali controllano il 70% del mercato mondiale dei semi e la Corte di Giustizia condanna l’associazione Kokopelli perché salva vecchie varietà… la guerra dei semi continua.
La guerra dei semi
Chi ha il potere di controllare il seme, ha il potere di controllare cosa possiamo o dobbiamo mangiare, quindi “fa” il mercato: un concetto semplice e di per sé sufficiente a spiegare l’aggressività con cui le multinazionali sementiere hanno voluto e ottenuto il monopolio su questo bene indispensabile per la vita e la comunità. Un monopolio però che i piccoli coltivatori e gli eredi dei custodi delle varietà antiche e tipiche hanno intaccato e stanno intaccando, hanno eroso e stanno erodendo, benché a piccolissimi “bocconi” alla volta.
Ma quali sono i vincoli imposti dalla legge attualmente in vigore che limitano così fortemente la vendita libera e diretta dei semi?
La legge sementiera italiana risale al 1971, è la numero 1096 e, sebbene modificata e integrata parzialmente per considerare tutte le direttive europee uscite nel corso degli anni, continua a fondarsi su criteri di uniformità e standardizzazione, in funzione delle necessità dell’agroindustria. Una varietà può essere iscritta nel catalogo, e quindi commercializzate le sue sementi, solo se risponde ai criteri di distinzione, uniformità e stabilità, pensati per garantire l’alta resa che serve al mercato industriale; se invece una varietà non è iscritta nel catalogo, le sue sementi non possono essere vendute…
L’articolo prosegue analizzando come si è sviluppata la concentrazione dei semi nel mondo in mano a poche multinazionali, le direttive Ue e quelle a livello mondiale; al contempo pone l’accento su come campagne e movimenti si oppongano a questo monopolio rivendicando la libera circolazione delle sementi, non tralasciando il valore culturale della biodiversità e anche l’aspetto benefico della salute riscoprendo le antiche varietà a tavola.
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