Indipendente e intraprendente fin da bambina, determinata e a volte «un po’ strana», come qualcuno diceva, Grazia Cacciola da anni ha scelto l’Appennino Tosco-Emiliano per vivere a… impatto positivo: tanta autoproduzione e gli animali come compagni di vita, anziché nel piatto. A tutto ciò si aggiungono il lavoro di project manager per una internet company, che svolge da uno studio annesso alla casa, e l’attività di giornalista e scrittrice: ha un blog, sul quale condivide la sua esperienza, ed è autrice di libri e articoli che hanno come temi portanti l’ambiente e la sostenibilità.
La sua è stata una scelta di decrescita consapevole, di sobrietà voluta, di affermazione di paradigmi diversi da quelli ancora oggi ritenuti convenzionali.
«Ho sempre pensato che fosse giusto fare di tutto per vivere bene e sbarazzarsi delle situazioni scomode, soprattutto se imposte da altri» spiega Grazia. «Non dipendo dai miei genitori da quando avevo ventun anni e mi sono laureata in corso con il massimo dei voti perché studiavo quello che mi piaceva. Ma non condividevo le aspettative altrui sulla mia vita: studi, ti sposi, fai figli, lavori, consumi, ostenti, poi muori. No, non faceva per me. Oggi vivo in mezzo ai boschi con il mio compagno, i nostri gatti e molti amici. Abbiamo scelto di non avere figli; ritengo che le donne oggi possano scegliere di non essere madri senza vergognarsene. Su un pianeta che sta collassando per il peso demografico, non mi sento egoista per questa scelta».
«Questa vita me la sono scelta»
Grazia si alza presto, studia, pratica yoga, mentre passeggia raccoglie per la dispensa ciò che la natura offre, si occupa dell’autoproduzione e poi comincia il lavoro nel suo studio, annesso alla casa. «Questa vita me la sono proprio scelta e ne sono felice» spiega.
«Non ci sono giorni uguali: a volte devo incontrare un cliente in città e ne approfitto anche per fare una passeggiata, vedere un film al cinema o visitare una mostra. Altre volte mi capita di avere un paio di giorni liberi e allora organizziamo qualche giro più ampio, come un percorso di trekking; decidiamo in base alla stagione, al momento e alla voglia di fare. In inverno cucino verso le 19, in estate più tardi; preparo anche il pranzo del giorno dopo, impasto il pane, riempio il germogliatore e la yogurtiera, taglio e invaso verdure da fermentare. Quando non ho voglia di stare ai fornelli, ceniamo con il pane e le conserve che ho sempre pronti; può capitare anche per più sere di seguito. La mia filosofia è che se non hai voglia di cucinare con il cuore, non vale la pena farlo. Le sere d’inverno, se siamo in casa, le passiamo guardando un film mentre lavoro a maglia o ricamo, oppure ascolto la radio mentre dipingo, o semplicemente mi infilo sotto il piumone con vista sul fuoco scoppiettante e leggo o ascolto musica. In estate, invece, gli svaghi non mancano e, al contrario di quando vivevo a Milano, non devo fare un’ora o più di strada per raggiungerli. Spesso trascorriamo la giornata al lago o al mare. È una vita semplice ma non monotona, molto varia».
Ecologia e veganesimo
L’interesse di Grazia per l’ecologia, le pratiche sostenibili e il veganesimo è nato nel tempo, mano a mano che aumentava la sua consapevolezza.
«Coltivo l’interesse verso l’ecologia dai tempi della scuola, invece quello per l’alimentazione è nato da un problema personale: mi sono ritrovata a ventisette anni con una serie di patologie che mi stavano portando alla follia, non dormivo più e stavo sempre male. L’incontro con i libri di Michio Kushi e Henry Levy ha cambiato la mia prospettiva; poi, nel 2006, ho fatto un altro passo avanti leggendo un libro edito da Terra Nuova Edizioni, Curarsi con il cibo, di Catia Trevisani. Da lì ho iniziato a dedicarmi seriamente alla naturopatia e ho anche conseguito il diploma in naturopatia scientifica. Al veganesimo invece mi ero avvicinata anni prima, in seguito a una riflessione nata dalla lettura del romanzo Uccelli da gabbia e da voliera di Andrea De Carlo, in cui un veterinario spiega perché i felini sono predisposti per mangiare carne mentre gli umani no. È stata una folgorazione. Dopo sono arrivate anche le considerazioni filosofiche sull’antispecismo, l’iniquità di considerare l’uomo superiore agli animali o addirittura loro padrone; ma sempre con molta calma e tanti dubbi, perché al tempo non c’era internet e io conoscevo solo una persona vegana, piuttosto isterica… temevo di diventare così!
Oggi infatti cerco di essere sempre disponibile, anche quando mi fanno domande stupide o arriva l’ennesima battuta fuori luogo. Ci sono già abbastanza vegani isterici a frenare il cambiamento, preferisco che ci si accorga che ci sono anche persone normali, con una vita felice, rilassata.
Il mondo, poi, è un equilibrio fra bene e male: per affrontare il male bisogna accettare che ci sia, solo così si riesce a penetrarlo e trasformarlo».
Gente in cammino
Quando immaginate Grazia non aspettatevi una hippie con gonnellone e dreadlocks o una punk con i tatuaggi, e nemmeno una creatura ascetica con il saio e i piedi scalzi.
«Negli ambienti considerati alternativi si incontrano tanti stereotipi e si vestono molte divise» spiega.
«Io non ne indosso nessuna, quindi posso apparire strana. Gli altri mi vedono come una persona anonima, che non si nota se la si incrocia per strada; è la mia scelta. Non ho tatuaggi d’ordinanza perché non mi appartengono, così come le calzature da folletto dei boschi o i piercing. A me gli altri vanno bene in qualunque modo siano, ma io li posso mettere in crisi perché non vesto la divisa da alternativa».
«Onestamente, ho sempre trovato più rigidità e critiche negli ambienti “etici” che in quelli “convenzionali”: per i vegani sono eccessiva perché secondo me la scelta vegan non può prescindere da quella ecologista; per gli ecologisti sono estremista perché ritengo che non esista ecologia senza veganesimo. Coloro che mi seguono sono persone in cammino, realmente impegnate su un aspetto del cambiamento, ma in pochi li praticano tutti. Va bene così, perché il motivo per cui ho cominciato a condividere sul web il mio percorso, nel 1999, è che volevo dare qualcosa che io non avevo avuto: la prospettiva di qualcuno che l’aveva già fatto, che porge la mano dicendo: “Si può”».
«Se dovessi lanciare un messaggio a chi pensa “io non ce la farei mai”, gli direi: “Allora non farlo”. Il downshifting non è per tutti. I doveri sono altri. L’ecologia, la decrescita, il rispetto per gli animali sono un dovere verso l’ambiente e verso i nostri figli, a cui dobbiamo garantire un futuro.
Il resto è una scelta. Se lo si vive come un peso, forse non è un desiderio reale. Ci sono persone che si sentono confortate da un lavoro dipendente, a tempo pieno, in città.
Perché dovrebbero cambiare? Però, chi sente che la vita in città gli sta stretta, non sopporta il pendolarismo, sta facendo un lavoro che non gli piace o lo deprime, allora sì, deve sforzarsi di cambiare, perché la vita è davvero una sola. Che senso ha viverla da infelici?».
PER SAPERNE DI PIÙ:
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