La politica che funziona: intervista ad Alessio Ciacci
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Sì qualcosa cambierà, mi dà ancora più carica ed entusiasmo nell’andare avanti con il nostro impegno. Ogni tanto un riconoscimento rinfranca anche lo spirito, ci dà la forza per affrontare gli attacchi che riceviamo per il nostro operato, che molti cercano di smontare etichettandolo come ideologico.
Ci tengo a sottolineare che questo premio non è un risultato solo mio, ma di tutta la rete che in questi anni è cresciuta enormemente in tutta Italia. Ci sono tanti esempi di buona politica che si stanno diffondendo, bisogna farli conoscere. Adesso sembra tutto normale, ma certe scelte durante il tuo primo mandato saranno state anche impopolari.
Oltre alla impellente necessità di costruire pratiche di sostenibilità, c’è l’urgenza, altrettanto importante, di ricostruire un dialogo costruttivo e costante tra istituzioni e popolazione. Senza percorsi di vera partecipazione e di protagonismo delle comunità locali, l’astensionismo e la «brutta politica» sono destinate ad aumentare. Serve una progettualità che possa migliorare gli stili di vita e modificare i comportamenti consolidati. A volte lo sforzo può apparire impopolare, ma se c’è vera condivisione e consapevolezza dei rischi ambientali, allora si possono costruire percorsi insieme, con importanti apporti costruttivi da parte della cittadinanza.
Proprio così! Credo che gli strumenti della democrazia partecipativa non siano sufficienti per costruire un buon rapporto tra istituzione e cittadino locale. Per questo motivo abbiamo avviato degli strumenti di democrazia deliberativa, che chiamano il cittadino a dire la propria durante tutto il percorso amministrativo.
Certo, ci siamo ispirati al primo grande progetto del comune di Porto Alegre e ad altre esperienze italiane come Grottammare. Ma abbiamo scelto un percorso originale, preferendo al posto del metodo assembleare quello cosiddetto «estrattivo». Si estraggono ogni anno a sorte 100 persone che hanno il compito di fare ipotesi progettuali, gestendo di fatto una parte del budget a disposizione dell’amministrazione. Le questioni vengono approfondite all’interno di gruppi di lavoro, poi si coinvolge tutta la cittadinanza attraverso votazioni sulle azioni da prendere. Da questa prassi sono nati parchi giochi, giardini scolastici, aule attrezzate. In tutto questo la Regione Toscana ci è stata di aiuto, perché si è dotata di una legge che favorisce la partecipazione e mette a disposizione alcuni strumenti.
È un continuo confronto, in cui è importante il cammino, quanto il risultato. Sin dall’inizio avevamo capito che basandoci solo sulle nostre idee non potevamo fare molta strada. È per questo che abbiamo adottato i dieci passi della strategia a rifiuti zero, codificata a livello internazionale, per arrivare al 2020 con ogni rifiuto che va in smaltimento. Da quest’anno siamo riusciti a introdurre anche la tariffazione puntuale, facendo pagare la tassa rifiuti non più sulla volumetria o sul numero di componenti della famiglia, ma sulla quantità di rifiuti indifferenziati prodotti. Non siamo gli unici a farlo in Italia, ma siamo il comune più grande.
Per i cittadini non c’è nessun impegno aggiuntivo. Vengono forniti i soliti bidoncini per la raccolta domiciliare, e poi si danno le buste per il non differenziato. Sulle buste c’è una filigrana con un microchip. Ogni volta che il sacco finisce nel cassone della raccolta, il codice personale viene riconosciuto da un’antenna. Così sappiamo quante volte in un anno è stato esposto il sacco del non riciclabile e su questa base si calcola la tariffa. Le famiglie sono incentivate a esporre il sacco solo quando è effettivamente pieno: al vantaggio economico del minor conferimento, c’è anche quello dei minori trasporti necessari. Nelle frazioni dove il sistema è stato sperimentato, la raccolta differenziata è passata dall’80 al 90%.
Cerchiamo di fare pressione verso l’alto, intervenendo sul piano nazionale di riduzionedei rifiuti. Ma abbiamo anche dialogato con le stesse aziende che producono oggetti di consumo difficilmente separabili e riciclabili. Dopo una nostra lettera di denuncia, la Lavazza ha accettato di fare un percorso per l’attivazione di un progetto di recupero delle capsule usate del caffè. In questi mesi, a Capannori, sta partendo un progetto pilota per avviare il recupero.
Abbiamo evitato nuove colate di cemento invasive per il territorio, non solo privilegiando la ristrutturazione dell’esistente, ma andando anche a tagliare sui piani urbanistici di chi ci ha preceduto. Ci vuole coraggio ma si può fare, lo dimostra il fatto che i ricorsi li abbiamo sempre vinti. L’importante è attenersi a dei criteri oggettivi, come la chiara definizione dei centri abitati, la distanza dalle zone rischio idrogeologico o dagli elettrodotti…
Quello che ancora costruiamo lo facciamo con edifici in legno molto efficienti: adesso ad esempio abbiamo un asilo in classe energetica A. D’altra parte ci impegniamo anche per contenere gli sprechi energetici e applichiamo una riduzione sugli oneri
di urbanizzazione per chi adotta criteri di bioedilizia. Con un nuovo progetto di edilizia popolare abbiamo scelto il cohousing, che dà anche un valore sociale in più.
Ci stiamo dedicando anche all’agricoltura come risorsa occupazionale che valorizza il territorio. Al posto del granturco, che richiede molti fertilizzanti, abbiamo lanciato un progetto per la coltura della canapa. Non si tratta solo di una specie che non richiede pesticidi e concimi chimici: abbiamo voluto attivare una filiera, con la costruzione di materiali bioedili che utilizzano le fibre della pianta.
Assolutamente sì! Se la strategia rifiuti zero è stata adottata da metropoli del calibro di San Francisco negli Stati Uniti d’America non vedo proprio alcuna scusa per le città italiane. Gli unici ingredienti di successo sono la volontà politica e la partecipazione.
Quello di seguire ciò che facciamo abitualmente all’interno dell’associazione dei comuni virtuosi. Ovvero guardare oltre i propri stretti confini, comunali o nazionali che siano, e imparare dai numerosi esempi di successo che sempre più si moltiplicano a livello europeo e internazionale. Anche copiare può diventare rivoluzionario.
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