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La politica della consapevolezza

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Sulla scia della Conferenza Internazionale “L’economia della felicità” che si è svolta il 2 ottobre a Firenze, vi proponiamo la lettura di un articolo pubblicato su Terra Nuova dal titolo “La politica della consapevolezza” con alcune importanti riflessioni sulla natura dei conflitti nel mondo e su come potremmo liberarcene attra verso la nascita di una nuova politica che riconosca l’importanza dell’interconnessione, dell’unità e del dialogo.
Abbiamo intervistato Arnold Mindell, ideatore e promotore del process work e sua moglie Amy Mindell, e poi Gary Reiss e Vassiliki Katrivanou, terapisti e facilitatori secondo il metodo del process work, per spiegarci l’essenza del loro approccio e condividere con noi alcune importanti riflessioni sulla natura dei conflitti nel mondo e su come potremmo liberarcene attraverso la nascita di una nuova politica che riconosca l’importanza dell’interconnessione, dell’unità e del dialogo.

Arnold e Amy Mindell

Arnold Mindell, docente universitario e terapeuta, ha ideato e messo a punto il process work, un originale metodo per la risoluzione dei conflitti conosciuto ormai a livello internazionale. Insieme alla moglie Amy, sua collaboratrice, e con la comunità internazionale che intorno a loro si è formata, da più di trent’anni sta sperimentando il process work come strumento di risoluzione dei conflitti, tanto quelli personali intrapsichici quanto quelli di gruppo.
Come nasce il process work e su cosa si basa?
Il process work nasce dalla consapevolezza che gli esseri umani hanno bisogno di apprendere nuovi modi per relazionarsi e aiutarsi, non solo nel rapporto uno a uno o in piccoli gruppi, ma anche in gruppi molto ampi. Il process work si serve di saggi (elders) e facilitatori in grado di sfruttare la loro capacità empatica a beneficio di tutte le parti coinvolte in un conflitto, a favore di una comprensione reciproca.
Qual è la differenza tra il concetto di democrazia con cui abbiamo tutti familiarità e la democrazia profonda?
La democrazia ha a che fare con il potere equamente condiviso tra i cittadini, ma di per sé il potere condiviso non ci insegna come rapportarci meglio gli uni con gli altri. La democrazia profonda è un’equa distribuzione del potere in superficie a cui però segue, a un livello più profondo, la capacità di sentire e comprendere l’essenza della parte opposta. Significa sapersi distanziare un po’ dalla nostra mente ordinaria e collegarsi all’universo.
In Italia, come un po’ ovunque nel mondo, le scene socio-politiche sono costellate di grandi e potenti figure che manipolano un gran numero di persone, piuttosto che rafforzarle e dar loro potere. Perché questo si ripete da sempre?
I leader prendono potere quando molti cittadini sentono il bisogno e la speranza di essere protetti; ma poi queste guide perdono la loro consapevolezza, diventano arroganti, spesso correndo e facendo correre ad altri rischi non necessari. Dimenticano come relazionarsi con le persone intorno a loro e con coloro che si oppongono. Diventano abusivi e, nonostante le buone intenzioni iniziali, la maggior parte finisce con il ricreare proprio i meccanismi che cercava di combattere. Questi sono schemi che si ripetono in tutte le culture e in tutti i tempi.
«Almeno una volta al giorno svegliamoci! Dieci minuti di attenzione possono cambiare il mondo». Arnold, ci spieghi il senso di questa tua affermazione?
La nostra attuale politica globale è basata prevalentemente sulla contrapposizione di punti di vista diversi. Il senso di questa frase è che non possiamo fermarci a questo. Dobbiamo trovare la forza necessaria non solo per prendere la nostra posizione, ma anche per mettere a frutto la nostra consapevolezza e sentire ciò che è l’altro a un livello più profondo e cosa ha da dirci. Successivamente potremo percepire ciò che ci lega, quanto abbiamo in comune, e infine lasciarci muovere da esso.
Quale potrebbe essere un primo reale e concreto passo verso la consapevolezza?
Un posto in cui possiamo realmente operare per cambiare il mondo è la scuola. Quando i bambini litigano mentre giocano, invitateli a fare in modo che ognuno comprenda il proprio ruolo e quello delle altre persone coinvolte nel conflitto. Procedete piano e con prudenza, finché i bambini non si capiscono l’un l’altro. Insegnando ai bambini a usare il proprio potere, senza delegarlo e proiettarlo in qualcosa fuori di loro, senza abusarne, comprendendo insieme che ci sono molti modi per affrontare i conflitti, si può influenzare la politica. Più i nostri figli cresceranno consapevoli del loro rango e del loro potere, meno dittatori avremo nel mondo.

Gary Reiss

Terapista e facilitatore di conflitti tra gruppi, in particolar modo in Medio Oriente, esperto nella terapia familiare.
Gary, da vent’anni faciliti gruppi in Palestina. Come può la democrazia profonda aiutare ad affrontare un conflitto politico e sociale di così grandi dimensioni?
Ogni conflitto, compreso quello tra palestinesi e israeliani, si può affrontare su molti livelli. Il process work ne identifica tre: la realtà consensuale, la terra del sogno e l’essenza. Nel livello della realtà del consenso possiamo facilitare su argomenti inerenti a fatti concreti, come per esempio le negoziazioni sui temi della terra e dell’acqua. Nel livello del sogno ci concentriamo sulle emozioni e sui ruoli, portando alla luce anche quelli nascosti, che chiamiamo fantasmi. Nel livello dell’essenza cerchiamo di portare i gruppi a fare esperienza dell’essere Uno, seppur nella diversità, con l’obiettivo di riconoscere i valori e i sentimenti comuni.
Come sono collegate le questioni familiari ai problemi su larga scala? E come possiamo guarire la nostra storia attraverso la guarigione delle nostre relazioni e delle nostre radici?
Se un membro della nostra famiglia è passato attraverso l’olocausto, quel trauma permane nel sistema familiare e ha bisogno di esser elaborato. Se tutti ci prendessimo più cura delle relazioni tra le mura domestiche, quotidianamente, l’energia del conflitto a livello socio-politico non sgorgherebbe così potente. Questo tipo di lavoro sulle relazioni, dal basso, può contrastare l’idea secondo cui una persona da sola non può far nulla per cambiare le cose: ognuno di noi, nell’occuparsi del proprio sistema familiare, contribuisce alla pace nel mondo, anche in Palestina.
È possibile liberarci della violenza e dell’oppressione una volta per tutte? E come?
Il meccanismo oppresso-oppressore ha la tendenza a ripetersi. Sostenendo ogni paese nella guarigione delle tacite agonie della storia, potremo essere poi capaci di muoverci liberamente verso il futuro. Un paese i cui abitanti si sentono terribilmente in colpa per il loro passato ha una grandissima probabilità di rialzarsi e umiliare qualcun altro. Aiutando le persone ad accogliere gli aspetti dell’esser vittime e dell’essere dittatori e di tutti i sentimenti che ne conseguono, facilitiamo ogni parte a liberarsi dalla storia passata, processandola prima e prendendosene poi la responsabilità, in modo da poter lavorare insieme a una nuova storia, più umana.

Vassiliki Katrivanou

Terapista, facilitatrice e insegnante di process work in diverse scuole, è membro del parlamento greco.
Come applichi i principi della deep democracy nella tua politica?
Comprendo che al di là dell’esser nel giusto o nello sbagliato, della differenza di opinioni, esistono dei ruoli, sia nel mio partito che in quello opposto. In questa situazione ciò che conta è creare uno spazio per il dialogo, piuttosto che focalizzarsi solo su chi vincerà. Mi occupo principalmente di diritti umani. Ciò che faccio quotidianamente è connettermi profondamente alle realtà in cui lavoro, così da costruire rapporti di fiducia e ascoltare le voci di tutti.
Nella politica italiana assistiamo a un continuo alternarsi dei partiti, in un ciclico schema di oppresso-oppressore. Ritieni che la deep democracy possa rappresentare un nuovo modo di fare politica?
Ogni volta che posso porto consapevolezza sul tema del potere e dell’uso che ne facciamo. È un compito molto difficile in un ambiente dove ogni programma polarizza il campo in posizioni vincitore/perdente. Così mostro l’abuso di questo meccanismo, sostengo la creazione di nuove forme di relazione piuttosto che riproporre ciò di cui ci lamentiamo. In questo lavoro continuo, è importante non perdere il collegamento dal basso, con i movimenti, per non diventare solo un pezzo della macchina.
A proposito dell’importanza della partecipazione dal basso, credo che in Italia ci sia un grande senso di disconnessione, sia da parte dei politici che da parte dei cittadini. Come coinvolgere nuovamente le persone?
In Grecia, dopo il grande movimento di Occupy, molte persone sono nuovamente senza speranza. Manca la fiducia nei politici e c’è tanta rabbia per le condizioni di miseria in cui molti si sono ritrovati a vivere. Più che provare a motivare la gente, possiamo imparare a comprendere la situazione in cui si trovano, costruire una relazione sincera e disinteressata, e forse da lì può nascere un coinvolgimento. Nello spazio che si crea dall’ascolto profondo, le cose accadono.

Vandana Shiva, Elena Norberg Hodge, Serge Latouche e l’Economia della Felicità

VIII Conferenza e Raduno Internazionale il 2 ottobre a Firenze.
Un’incontro per riflettere insieme su un futuro sempre più a misura d’uomo.

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