Il cibo spogliato della sua forza vitale è un cibo morto, che nel tragitto dal campo alla forchetta ha perso tutti i suoi nutrienti. L’editoriale del direttore di Terra Nuova, Nicholas Bawtree.
Se potessimo analizzare bene i prodotti dentro il carrello della spesa di un supermercato qualunque, troveremmo in gran parte alimenti «morti», oltre che sbilanciati sul piano nutrizionale. E per morti intendo cibi sterilizzati e ultralavorati, spogliati quindi della loro forza vitale, tenuti insieme da una serie di addensanti e miglioratori, arricchiti di nuove vitamine.
Quanti sono i cibi raffinati che consumiamo, anche inconsapevolmente? Quanti sono i nutrienti che perdiamo durante il tragitto dal campo alla forchetta?
La comunità scientifica su un aspetto è concorde: la migliore prevenzione rimane una corretta alimentazione. Non si può certo dire che oggi sulle tavole delle società opulente scarseggi un’ampia varietà di alimenti. Da questa parte del globo si muore per degli eccessi di cibo e non certo per una sua carenza. Vi sembra possibile che nel ricco mondo occidentale, con le nostre tavole riccamente imbandite, possano esserci dei deficit nutrizionali? Cosa manca davvero al nostro cibo? Se l’uso di pillole e integratori oggi è diventato una prassi, a volte discutibile, è proprio per compensare le carenze legate a quello che mangiamo.
Più che della quantità dei prodotti disponibili, è giunta l’ora di occuparsi della qualità. Non possiamo pensare al cibo come un aggregato di carboidrati, grassi e proteine, ma dobbiamo cominciare a valutarlo in funzione anche di qualcos’altro, qualcosa che ha a che fare di più con la vita, qualcosa che forse è difficilmente misurabile con gli strumenti utilizzati dalla maggior parte dei laboratori di analisi.
Come abbiamo evidenziato nello
speciale sul biologico presente nel
numero di Ottobre di Terra Nuova, la nuova frontiera della ricerca oggi guarda all’interezza. Si applicano tecniche come la cromatografia circolare, per capire la complessità dei suoli, e la cristallizzazione sensibile, per studiare la vitalità del cibo. I primi riscontri ci restituiscono delle evidenze importanti. Siamo ancora agli inizi, ma è importante continuare a indagare su questa strada, uscendo dai binari di un certo scientismo riduzionista che negli ultimi anni si sta mostrando un po’ arroccato su se stesso.
Se il cibo non esprime più una piena vitalità, significa che abbiamo perso anzitutto la vitalità delle piante, dei semi, dei terreni, stressati dalle lavorazioni profonde e da un elevato carico di input chimici. Stiamo parlando della microbiologia del suolo, che gli studi scientifici più recenti rivelano essere determinante per la fertilità e per la qualità nutrizionale degli alimenti. Stiamo parlando della forza vitale dei semi e delle piante che ci nutrono e arricchiscono le nostre vite. Stiamo parlando, infine, della passione, anch’essa vitale, di tutti i «ribelli» che ogni giorno contribuiscono alla filiera del cibo vivo: dal campo alla forchetta, alla ricerca del nutriente perduto.
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