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La rinascita della lana italiana

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In un mercato globale insostenibile per i pastori italiani ed europei, costretti a buttare via la lana perché rifiutata dal mercato, c’è chi pensa di recuperare gli antichi saperi e dare nuova vita a una filiera dimenticata. L’esperienza di Annalisa De Luca.
La rinascita della lana italiana
Sembra incredibile che siano passati quindici anni da quando ho scoperto che la lana delle pecore italiane non ha più mercato, tanto da essere diventata un rifiuto di cui i pastori fanno fatica a liberarsi. Sembra incredibile anche che dopo tutti questi anni di studi, convegni, ricerche, pubblicazioni, ancora tanta di questa straordinaria e versatile materia prima, che per millenni ha scaldato gli inverni dell’umanità, finisca, nella migliore delle ipotesi, in impianti di smaltimento a spese degli allevatori.
Quando la mia amica Madlaina Gmur mi descrisse questa assurda realtà, già molti erano a conoscenza del problema, a tutti i livelli. Così, io, lei e Ilaria Santoni, un’altra nostra amica, avviammo un lavoro di raccolta e sperimentazione delle diverse lane provenienti dalle pecore allevate in Toscana, e non solo, per capire cosa ci si potesse fare sia a livello amatoriale che professionale. In quegli stessi anni, soprattutto in Abruzzo, dove la lana delle pecore di razza Sopravissana vantava una lunga e non dimenticata tradizione, diverse donne iniziarono a ricostruire la filiera in modo da poter garantire la qualità dalla fibra al filato, fino a diversi prodotti finiti.
Realtà simili sono poi fiorite in tutta Italia: è diventato sempre meno difficile trovare fibre pronte per la filatura a mano con la ruota, il fuso, il feltro ad acqua o ad ago, ma ancora i bambini chiedono, quando vedono filare con la ruota, come si sia punta Rosaspina.

Una lana che non fa più mercato

Ma facciamo un passo indietro: perché la lana delle pecore italiane viene quasi tutta buttata via? Perché dal secondo dopoguerra la specializzazione produttiva è diventata un fenomeno globale, le lane di pecore Merinos australiane, neozelandesi o sudamericane, allevate solo per la fibra, hanno invaso i mercati internazionali con prodotti che garantiscono standard costanti ed elevati che, nel tempo, i pastori italiani ed europei hanno smesso di curare nella selezione dei capi.
La maggior parte della lana delle pecore allevate in Italia, anche di razze non autoctone, non è adatta ai macchinari attualmente usati per la produzione di filati e tessuti destinati all’abbigliamento. Non si è potuto, o voluto, sostenere filiere locali che ridessero ai pastori la possibilità di conferire la fibra. Pur nella consapevolezza della diffusa sensibilità verso i temi della sostenibilità, l’ambito tessile resta molto indietro rispetto all’alimentare o a tutto il mercato equo e solidale: ancor oggi chi si trova di fronte a un paio di calzini di lana «biologica» non si chiede, come fa per le verdure, quanta strada abbia fatto quella lana per arrivare al suo piede, se la fibra è magari mista e quindi impossibile da riciclare.
Inoltre, diversamente da altri ambiti di autoproduzione, più legati al cibo, alla cura del corpo o alla pulizia della casa, accostarsi a una macchina da cucire o ai ferri da calza è un passo che sembra impraticabile ai più. Eppure, la filatura e la tessitura sono state per secoli fra le arti più narrate e magiche, e tutt’oggi sono pochi coloro che riescono a sottrarre lo sguardo dal movimento ipnotico del fuso.
La lana è un materiale straordinario: igroscopico, idrorepellente, resistente a sporco e polvere, isolante, ignifugo e resiliente.

Iniziative di recupero

Con questa consapevolezza e basse aspettative, ho aperto una pagina facebook, un gruppo e un sito web dedicati alle raccoglitrici di lane locali in cui, per cominciare, riportare un elenco delle realtà già esistenti. La risposta è stata travolgente, non mi aspettavo numeri da star del rock, ma ho avuto subito un’ottima risposta e tante richieste di istruzioni su come lavare la lana e cosa farne. Ho quindi cominciato a sognare una scuola estiva di lane locali, a cercare le insegnanti e un posto adatto per un evento.
Non saranno certo le singole raccoglitrici a «salvare» tutta la lana italiana dallo smaltimento, come non sono i singoli panificatori casalinghi a evitare il decadimento delle qualità alimentari dei prodotti da forno o i saponificatori domestici a impedire l’inquinamento delle acque; ma i grandi passi di consapevolezza di chi mette le mani nei pezzi essenziali della propria vita sono quelli che hanno aperto la strada, solo per citare qualche esempio, al biologico, all’uso degli assorbenti e dei pannolini lavabili e a tante altre pratiche di cura che fino a pochi anni fa erano considerate «eccentricità» impossibili da diffondere su ampia scala. l
PER SAPERNE DI PIÙ:
https://lanaiole.weebly.com – Il sito contiene riferimenti e contatti delle realtà che in Italia hanno recuperato una sapienza antica e hanno iniziato a valorizzare la lana delle loro pecore o di quelle di pastori delle zone dove vivono.
• Le pagine Facebook Filiera di valorizzazione delle lane tracciabili e Raccoglitrici di lane locali condividono notizie e approfondimenti sui temi legati alle prospettive di valorizzazione delle lane europee. Il gruppo Facebook collegato alla pagina delle Raccoglitrici è uno spazio di condivisione fra tutte le persone che portano avanti pratiche e sperimentazioni in quest’ambito.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2020

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