Letti viaggianti per essere più buoni: la satira di Arianna Porcelli Safonov
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Con il letto viaggiante si andrebbe a fare la spesa, a portare il cane al parco senza bisogno di mettersi scarpe e giacca, ma seguendo il nostro amico a quattro zampe da sotto le coperte, comodamente in pigiama, con la sola mano che regge il guinzaglio, fuori dal piumone.
Il sogno è così reale che ho in mente vari modelli: l’invernale, imbottito e soffice, dotato di un comodino in ebano con bollitore, infusi e la selezione di Reader’s digest; il futon per la stagione estiva, con vele di lino bianco per filtrare i raggi solari e l’ologramma del giamaicano della pubblicità di quei succhi anni ottanta, Oasis, che arriva a chiamata per gestire le richieste più futili; disponibile anche in versione gonfiabile, per umiliare quelli col materassino, amereste anche il modello 4×4 per il picnic della domenica o per un concetto diverso di camporella, più elegante, più glamping; insonorizzato, coi vetri oscuranti e lo scafo smontabile per chi vive a Venezia o ama andare in ufficio via fiume.
Ci si andrebbe alle terme per rimettersi, ancora sudati, sotto alle coperte, invece di scappare a casa con la nuca bagnata. Oppure, dopo una serata tosta, si potrebbe dormire già nel parcheggio del club, senza rischiare la patente.
Che poi, col letto viaggiante, cosa ce ne faremmo della patente?
L’impianto caldo/freddo delle lenzuola renderebbe il prototipo del letto viaggiante la ragione stessa per non scendervi mai e il modello erotico, con uno specchio montabile sul tetto rinforzato, il dispenser di biscotti per quando arriva quel tipo di fame lì e la possibilità di scaricarlo dalle tasse come prima casa, farebbero il resto.
Il letto viaggiante risolverebbe i nostri problemi sociali perché a letto siamo tutti più buoni, soprattutto se il letto ha un motore».
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