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Lo sport? Quando è inclusivo fa bene proprio a tutti!

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Si diffondono sempre di più le esperienze di sport inclusivo che vedono gareggiare insieme persone disabili e normodotate. Ecco alcuni esempi italiani da cui trarre ispirazione, per promuovere lo sport come maestro di relazione.
La vittoria più bella? Divertirsi tutti insieme. Può sembrare una frase fatta, ma nello sport «inclusivo» diventa davvero realtà. Perché in barca, sul parquet o in un campo ci sono atleti di ogni tipo, disabili e non.
In Italia crescono infatti le esperienze e le buone pratiche che cercano di integrare persone disabili e normodotate. Esperimenti nati spesso da singole sensibilità, ma che nel tempo vanno strutturandosi in movimenti sportivi veri e propri, capaci di raggiungere risultati sorprendenti in termini di numeri e coinvolgimento.

Imparare qualcosa di più

Il baskin ne è un esempio concreto.
Nato in una scuola di Cremona, in meno di vent’anni ha conquistato il nostro Paese, superando le 100 squadre dilettantistiche e raggiungendo oltre 15 mila praticanti. Con la parola baskin viene definita un’attività sportiva che altrimenti sarebbe difficile da incasellare in una categoria. Si ispira al basket ma ha caratteristiche proprie, viene giocato da normodotati e disabili nella stessa squadra, composta sia da ragazzi che da ragazze, e materiali e spazi sono di volta in volta scelti a seconda delle caratteristiche dei giocatori in campo.
Antonio Bodini, presidente dell’Associazione Baskin onlus e uno dei padri di questa innovativa attività sportiva ci racconta che questo sport nasce da un’esigenza specifica. «Volevamo che tutti potessero giocare sul serio, con un ruolo definito dalle proprie competenze motorie» dice. «I giocatori normodotati imparano così a inserirsi in un gruppo che conta gradi di abilità differenti, i ragazzi disabili invece accrescono le loro capacità e aumentano la fiducia in se stessi».
Nel tempo il baskin è diventato sempre più praticato e così è stata costituita l’Associazione Baskin onlus che si occupa di promuovere la disciplina e fare formazione in tutta Italia.
Grazie a una convenzione con il Ministero dell’istruzione, negli ultimi due anni il baskin è entrato in moltissime scuole e ora è presente praticamente in ogni Regione d’Italia.

Una canoa per l’inclusione

Un’altra disciplina che fa dell’inclusione una caratteristica di base è il pararowing, ovvero il canottaggio praticato da persone con disabilità fisiche, sensoriali e/o intellettive. Anche in questo caso vengono sfruttate al massimo le potenzialità inclusive, perché in barca si trovano persone con storie e condizioni anche molto diverse tra loro. A Torino la Società canottieri Armida è stata pioniera di questa particolare disciplina.
«Il gruppo è nato nel 2001 dalla mia personale voglia di coinvolgere più persone possibili in uno sport sano e che si pratica all’aria aperta» racconta l’istruttrice Cristina Ansaldi. «Dagli otto agli ottant’anni troviamo un posto in barca per tutti». Fiore all’occhiello è l’equipaggio «8+8 Open Mind», composto da giovani con problemi relazionali/intellettivi, veri e propri atleti che hanno girato l’Europa partecipando ai principali tornei per normodotati e vincendo anche diverse competizioni. «Per questi ragazzi è una straordinaria esperienza di autonomia e di relazione» testimonia Cristina Ansaldi.

Il pallone non è da meno

Anche il calcio, lo sport più amato dagli italiani, è coinvolto in questa «rivoluzione inclusiva». Da tre anni la Figc (Federazione italiana gioco calcio), in collaborazione con Csi (Centro sportivo italiano), ha lanciato il progetto Quarta categoria, il primo torneo di calcio a sette riservato ad atleti con disabilità. La sua caratteristica è la formula dell’adozione: la maggior parte delle squadre «special» coinvolte sono state infatti adottate da club professionistici di Serie A, Serie B, Lega Pro e Lnd.
All’interno dei singoli tornei regionali ci sono tre livelli di gioco strutturati (quarta, quinta e sesta categoria) per permettere alle squadre di confrontarsi in un contesto di performance calcistica equilibrata alle proprie possibilità.

«Il calcio è uno sport di gruppo che insegna l’importanza del gioco di squadra, la bellezza dello stare insieme, la necessità del rispetto di piccole regole quotidiane, la gestione delle emozioni» sottolinea Valentina Battistini, ideatrice di Quarta categoria. È stata lei a fondare nel 2016 l’Asd Calcio 21 per far giocare persone diversamente abili dai sei ai quarant’anni d’età. «Però sentivo che mancava ancora qualcosa: il gol decisivo» continua Valentina Battistini. «I miei calciatori, infatti, sostenevano con passione gli allenamenti ma non potevano giocare alcuna partita la domenica». Così si è rivolta direttamente alla «casa del calcio», la Figc, trovando la sensibilità giusta per far sì che ci fosse davvero uno spazio ufficiale per questi giocatori. Da allora la crescita è stata continua: 11 Regioni coinvolte, 84 le società special per un totale di 110 squadre e oltre 2300 tesserati.

E in palestra?

Lo sport è maestro di inclusione non solo nel mondo della disabilità, ma anche in ambito sociale. Lo sanno bene alla palestra Talento & Tenacia promossa dall’Istituto di pubblica assistenza e beneficenza Asilo Savoia nei locali del Centro Regionale Sant’Alessio e Margherita di Savoia di Roma per ciechi e sordociechi. Il progetto si inserisce in un più ampio programma di inclusione sociale promosso da Asilo Savoia nella periferia di Roma. Prima sono state promosse attività sportive gratuite per giovani fino a venticinque anni in situazione di svantaggio. Poi sono state loro fornite opportunità concrete di inserimento professionale e lavorativo, sempre nel campo dello sport. «Una di queste riguarda il centro Sant’Alessio, che aveva ricevuto una notevole donazione di attrezzature per il fitness da parte dell’Hotel de Russie di Roma» chiarisce il presidente di Asilo Savoia, Massimiliano Monnanni. «Abbiamo quindi aderito al progetto fornendo uno sbocco concreto lavorativo ad alcuni nostri ragazzi, che sono diventati atleti-istruttori dopo aver fatto una specifica formazione sul tema della cecità e dell’ipovisione presso i tecnici del Sant’Alessio».

Promozione e diffusione

Esperienze di eccellenza che dimostrano il forte impatto sociale dello sport inclusivo. Per molti disabili italiani, però, trovare una società attrezzata (e vicina a casa) capace di accoglierli è ancora difficile. Per ovviare a questo problema la Cooperativa Darvoce di Reggio Emilia ha studiato un metodo per rendere più semplice l’accesso allo sport per i giovani disabili. Il progetto All inclusive sport da un lato garantisce ai ragazzi disabili un colloquio e una visita gratuita per poi essere indirizzati verso la disciplina più adatta alle loro attitudini, dall’altro mette a disposizioni delle società sportive tutor adeguatamente formati per integrare i giovani disabili all’interno delle società.
«A tre anni dall’avvio abbiamo avuto grandi risultati: le società aderenti sono in costante crescita ed alcune non richiedono neanche più l’affiancamento dei tutor, avendo imparato a lavorare da sole con la disabilità» racconta Cristina Ferrarini, coordinatrice del progetto. «Non solo. Saper inserire tutti in squadra, cambiando i ruoli o selezionando meglio gli esercizi, aiuta gli allenatori a coinvolgere nell’attività sportiva anche ragazzi sovrappeso, timidi o semplicemente meno dotati per lo sport». Un approccio che fa davvero bene, a tutti noi.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Maggio 2019

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