Il «pane fresco» che troviamo al supermercato, forse «fresco» non lo è poi tanto! Elena Tioli ci illustra cosa c’è dentro…
Appena sfornato, ancora caldo e fragrante. Una volta entrati al supermercato è ormai prassi essere invasi dal profumo accogliente del «pane fresco». Così si legge sull’insegna luminosa che sovrasta gli scaffali stracolmi di prodotti: rosette, baguette, filoncini. Ma sarà davvero così?
L’etichetta ci racconta un’altra storia. Una storia che nasce in un tempo lontano, e in un luogo lontano. Ebbene sì. Il pane «appena fatto» distribuito dalla Gdo in genere arriva da Slovenia, Germania o Bulgaria ed è stato prodotto anche alcuni anni prima del confezionamento nel punto vendita in cui viene esposto. Impossibile, penserete.
E invece no. È scritto proprio lì, nel retro del sacchetto: «Prodotto in Romania», «pane precotto», «dorato in questo negozio». Tutte frasettine che dovrebbero farci drizzare le antenne, e chiudere le bocche.
Stiamo parlando infatti di un pane di dubbia qualità, prodotto con materie prime scadenti e poi surgelato e imballato, consegnato alle celle frigorifere dei tir su cui ha attraversato tutta l’Europa. Per reggere al kilometraggio, agli sbalzi termici e ai lunghi periodi di stoccaggio vengono utilizzati additivi e conservanti di cui ben poco è dato sapere. Stiamo parlando dei miglioratori tecnologici, definiti dalla legge come «sostanze non alimentari» volontariamente utilizzate per rispettare un determinato obiettivo tecnologico.
Quali siano gli essenziali obiettivi tecnologici è presto detto: correggere la scarsa qualità della materia prima, camuffare odore, sapore e consistenza, aumentare volume e compattezza dell’impasto e permettergli di durare il più a lungo possibile. Anni, per l’appunto.
Il risultato è un pane dopato, esteticamente perfetto, con un aroma irresistibile, maggiore morbidezza e masticabilità. Ma estremamente povero di nutrienti e di brevissima durata. Una volta finito di cuocere, infatti, il nostro pane «appena sfornato» diventerà durissimo nel giro di pochi giorni. Ma non temete, l’aspetto si manterrà perfetto. Neanche una muffa infatti potrebbe cibarsi di cotanta prelibatezza.
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Code, imballaggi, prodotti inutili e dannosi per la salute e per l’ambiente, filiera lunga,
inquinamento e
sfruttamento,
bisogni indotti da
pubblicità, lunghe attese per trovare parcheggio, per scegliere, per pagare: questo è il
supermercato. E chi pensa che rinunciarvi sia difficile, inutile o addirittura impossibile, dovrà ricredersi. Vivere senza supermercato non solo è possibile ma è addirittura facile e piacevole: parola di chi lo ha fatto.
Entrare in relazione con i produttori, scoprire la provenienza e l’origine delle merci, informarsi sulle conseguenze, personali e globali, di ciò che si acquista e si consuma: vivere senza supermercato significa tutto questo e molto altro ancora. Significa fare una spesa ecologica, consapevole e responsabile, dando un nuovo valore ai propri gesti e un peso diverso ai propri soldi. Significa cambiare stile di vita e modo di pensare.
Vivere senza supermercato significa guadagnarci: in soldi, salute, relazioni e tempo. Una scelta alla portata di tutti.