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Nutrizionismo sociale

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Perché non esiste un nutrizionista che certifichi le intolleranze ai vari aspetti della società? La rubrica di Arianna Porcelli Safonov.
Nutrizionismo sociale
Finalmente mi sono decisa ad andare da un nutrizionista.
Era da tempo che progettavo di andarci perché ci vanno tutti i miei amici ipocondriaci, quelli che al ristorante fanno piangere il cameriere e inveire la cucina perché scelgono un piatto e pretendono che vengano tolti diciannove ingredienti su ventuno.
Anch’io sono così ma avevo bisogno di una scusa credibile e allora mi sono decisa a prenotare una visita per scoprire le mie intolleranze e poterle esibire nei ristoranti.
La nutrizionista è una dottoressa piuttosto paziente che ha studiato per toglierti tutti quei cibi che sai già che ti faranno male, senza bisogno di andare dal medico, ma sentire un professionista che te li proibisce ha tutta un’altra portata emotiva.
Leggendo la dieta, mi sono resa conto che in natura sarei già morta.
Certo, potrei sopravvivere qualche giorno come il protagonista di Into the wild, cibandomi di erbe, bacche e radici, ma assimilare una conoscenza delle piante spontanee in poco tempo è impossibile da soli e finirei per aver bisogno di un guru che in natura è improbabile trovare perché ormai i guru sono tutti in città, nei loro studi di meditazione al settimo piano.
Mi spiace aver pagato duecento euro per ricevere in cambio la notizia che la mia specie in natura si estinguerebbe, per mere faccende di spuntino, ma penso sia il punto di partenza per un approccio più umile alla vita.
Le solanacee infiammano tutto ciò che non sia già infiammato da questo momento storico: escludendo patate, pomodori e melanzane, d’estate sarà meglio che me ne resti «alla casa» perché con questi tre ingredienti in Italia facciamo anche i muri.
In pizzeria potrei prendere delle ottime focacce bianche se solo potessi mangiare grano di qualche tipo. Abolito l’alcool, che continuerò a bere nel silenzio della mia casa, come sono abituata, perché mi pare assurdo pagare qualcuno per renderti così infelice.
Esclusi dalla mia dieta funghi, uova, carne che già non mangio, ma se mi togli tutto il resto, cosa mi mangio? L’eternit?!
Vietato in modo categorico il latte sotto qualsiasi sua forma: è corretto, visto che siamo fra i pochi mammiferi che si ostinano a bere latte di altre bestie stupendoci poi che ci vengano le magagne, ma sono comunque triste.
Per fortuna, ora ho anch’io delle intolleranze alimentari che mi garantiranno diversi minuti di attenzione e cura nei ristoranti, una volta che farò presente la diagnosi.
Ma cosa farò con tutto il resto delle intolleranze?
Con l’allergia a quelli che parlano a voce alta in treno, con quella agli uffici pubblici del mio paese, con l’intolleranza grave ai saggi di ginnastica dei miei nipoti, ai centri commerciali, ai comizi politici, ai concerti dei cantanti di Sanremo e con quella alla gente che dice «Anche no», che davvero mi piega in due la bocca dello stomaco: come farò?
Esiste un nutrizionista sociale? Qualcuno che mi dia una diagnosi affinché anche queste mie allergie vengano rispettate? Perché esistono allergie di serie A e allergie di serie B?
Perché non esiste un medico che possa certificare che «La signora qui presente non può accedere alle palestre dove si esibiscono bambini con body in lycra che fanno capriole per sette ore consecutive»?
Forse è arrivato il momento di pensare davvero al nostro benessere.
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Articolo tratto dalla rubrica Tanto per cominciare

Leggi la rubrica sul mensile Terra Nuova Luglio/Agosto 2022
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