Sono ideologiche o inconsapevoli le ragioni che spingono settori dell’informazione e dell’opinione pubblica a scrivere alcune parole con la maiuscola? L’editoriale di Febbraio del direttore di Terra Nuova.
«1. Tutte le forze politiche italiane
s’impegnano a sostenere la Scienza…»
– Patto Trasversale per la Scienza, lanciato dagli
immunologi Roberto Burioni e Guido Silvestri
«L’uso della maiuscola in italiano offre molte zone d’ombra, perché ragioni grammaticali s’intrecciano con ragioni ideologiche più o meno consapevoli».
È quello che dice l’Accademia della Crusca per chiarire i nostri dubbi sull’uso delle maiuscole per i nomi comuni della lingua italiana.
Ecco, devono essere «ragioni ideologiche più o meno consapevoli» quelle che stanno spingendo settori dell’informazione e dell’opinione pubblica a scrivere parole come (S)cienza con la maiuscola. L’intenzione teorica è del tutto chiara: distinguere tra scienza ufficiale e pseudoscienza, segnare un rigido steccato tra conoscenze ordinate e coerenti e opinioni ritenute bislacche, difficili da difendere o addirittura nocive. Ma quanto è ristretto il perimetro della (S)cienza? Quanto intaccabili i suoi confini? E soprattutto… c’è bisogno di una maiuscola?
Per i linguisti questa scelta ha ben poche giustificazioni. La maiuscola si può usare per dare un valore distintivo rispetto agli omonimi. Ad esempio c’è la parola stato che indica una «certa condizione», e c’è lo Stato in quanto nazione. Anche Chiesa, in quanto ente o istituzione religiosa, si scrive così per distinguerla dall’edificio. Ma la parola scienza non ha casi di omonimia. E soprattutto non è un’istituzione.
La questione non è solo squisitamente grammaticale. La scienza nasce anzitutto come metodo critico, avanza per dubbi, ipotesi, esperimenti e verifiche. Non ha bisogno di tribunali, di inquisitori o di cori da stadio. Per contrastare i terrapiattisti del web c’è davvero bisogno di un ponte levatoio? La ricerca scientifica ha sempre proceduto su errori e smentite, e non può essere tirata per la giacca. È uno strumento nelle nostre mani, da asservire al bene comune. Non è un dogma, e non un’entità astratta a cui inchinarci.
Possiamo anche piegare la lingua a nostro piacimento, ma lasciamo sempre traccia del nostro pensiero. La maiuscola reverenziale sta indicare un atto di sottomissione che la nostra civiltà, nata dal pensiero filosofico e scientifico, ha rigettato a suo tempo. Vogliamo usare allegramente tutte le maiuscole per dare valore a tutte le cose che contano? Cominciamo a scrivere Pace, Libertà, Rispetto, Amore.
Meglio andarci cauti con le maiuscole. La modernità in fondo ci ha liberato dalla loro inutile sovrabbondanza. Come scrivono gli accademici della Crusca in una nota, c’è stato addirittura un tempo in cui «ci siamo ribellati, giungendo a scrivere con la minuscola le iniziali del periodo e perfino quelle del nome proprio». Mentre è sotto i regimi autoritari e assoluti che «l’enfatizzazione dei rapporti di subordinazione ha contribuito alla maggiorazione delle lettere». Coi tempi che corrono, teniamoci strette le nostre minuscole.
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