Da anni mi trastullavo con il mio Nokia 3310, emblema della mia orgogliosa arretratezza tecnologica, ignorando spocchiosamente i possessori di smartphone.
Spocchiosamente, perché pensavo di essere fuori dal dossieraggio e dalla schedatura che meticolosamente fa la Bestia1 dei suoi utenti.
Poi succede che un giorno una mia collega di lavoro, sui 25 anni, mi mostra orgogliosa la sua pagina Facebook. È il caso di dire che anche da Facebook, spocchiosamente, ero – e sono tuttora – fuori. Ma sulla pagina della ragazza noto che sulla colonna di destra, alla voce «persone che potresti conoscere», ci sono la foto e il nome di mio suocero (75 anni).
Dopo una breve indagine ho appurato che non c’era modo per la ragazza di conoscere mio suocero, lontanissimo da lei per età, interessi, frequentazioni e così via. La conclusione è che il link tra i due non potevo che essere io. Ma come era possibile, visto che non ho un account Facebook?
Semplice: io, volente o nolente, compaio nella rubrica telefonica di entrambi, con il mio nome e il mio numero di cellulare.
Facebook possiede, dopo averla acquistata al prezzo di 19 miliardi di dollari, l’applicazione Whatsapp, uno strumento di cui pare non si possa fare a meno, anche se in realtà io un account non ce l’ho. Ma questo non è un problema: Whatsapp acquisisce di routine la rubrica del telefono in cui è installato, per cui è bastato prelevare, dalle rubriche di entrambi, il record con il mio nome e numero di telefono, incrociarlo sulla loro pagina Facebook… et voilà!
Ovviamente non capiterà sempre di associare due persone culturalmente agli antipodi, come in questo caso, per cui la segnalazione potrebbe avere anche miglior fortuna. Il bello è che tutto ciò è avvenuto in barba alle dichiarazioni di Zuckerberg, amministratore di Facebook e «padrone» di Whatsapp, secondo cui «WhatsApp non condividerà con Facebook i dati degli utenti».
Questo fatto mi ha sollecitato un paio di considerazioni.
La prima: non è possibile stare fuori dal tracciamento della Bestia semplicemente ignorando questi strumenti, occorre un comportamento sabotatorio più attivo. Nonostante il mio Nokia 3310, questi possedevano il mio numero di telefono associato al mio nome. Sicuramente hanno congiunto al mio nome tutte le persone che hanno un account Whatsapp e il mio numero di cellulare registrato nella rubrica, delineando un abbozzo di personalità (dimmi a chi telefoni e ti dirò chi sei). Se qualcuno in rubrica, invece di chiamarmi col mio nome, avesse poi associato il mio telefono a un termine che delinea la mia personalità (come «palloso», «comunista», «ciccione»), potrebbero aver acquisito altri utili elementi di schedatura.
Probabilmente conoscono anche la mia faccia, tramite i software di riconoscimento facciale e grazie al fatto che qualcuno potrebbe aver pubblicato una foto in cui sono presente, magari etichettando la mia immagine col mio nome, come si usa fare. Insomma, nascondersi dietro un 3310 non salva dalla schedatura.
Seconda considerazione: i dati su di noi sono talmente mescolati, disaggregati e non localizzabili, che è impossibile attuare concretamente una politica di privacy come quella che i governi, due passi indietro rispetto alla Bestia, vorrebbero imporre.
Io non ho prestato alcun consenso, né a Facebook, né a Whatsapp, su cui nemmeno compaio. Ma loro sono in possesso dei miei dati e, come dimostrato, li stanno usando a fini di profilazione.
Mentre io facevo il figo col 3310, le mie figlie iniziavano a interagire con questo strumento, senza che io potessi avvisarle, per ignoranza, di cosa stavano affrontando. Non è che avrei potuto impedire loro di usarlo, né è detto che avrebbero tratto giovamento dai miei insegnamenti, ma credo sia un dovere di genitore fornire degli strumenti di critica ai propri figli, cosa che stupidamente, per un tempo troppo lungo, ho omesso di fare.
Note
1. Con questo termine l’autore indica i colossi del web.
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