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Petrolio che tutto move

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I motivi per Votare Sì al prossimo referendum del 17 aprile e fermare definitivamente le trivellazioni in mare. Ce lo spiega Mimmo Tringale, direttore del mensile Terra Nuova, nell’editoriale del numero di aprile 2016.

Petrolio che tutto move

Mai come in questi ultimi mesi, il petrolio sembra essere il protagonista assoluto di quello che accade intorno a noi. Gli immensi interessi economici e geopolitici che l’oro nero muove sullo scacchiere internazionale sono in maniera molto evidente la principale causa dell’instabilità del mondo arabo.È ormai evidente che quella che viene proposta ogni giorno come una guerra di religione è in primo luogo un conflitto per il controllo dei giacimenti petroliferi più ricchi del mondo e non è un caso che il nostro paese si sia autocandidato a dirigere la coalizione internazionale per “stabilizzare” la Libia.
La nostra Eni è oggi la più importante compagnia straniera presente in quel paese. Ed è questa probabilmente la ragione principale che ha spinto il Consiglio dei ministri ha varare lo scorso 10 febbraio l’autorizzazione all’utilizzo di forze speciali in Libia, al di fuori di qualsiasi autorizzazione dell’Onu. Per evitare il vaglio parlamentare è stato sufficiente mascherare l’operazione come invio di forze speciali per una “operazione di emergenza”.
Un’emergenza che si può spiegare solo con la volontà di proteggere gli interessi di Eni. Sì, perché per quanto possa apparire incredibile e inquietante, stiamo assistendo a una corsa frenetica tra le forze speciali italiane, francesi, statunitensi e britanniche per accaparrarsi per primi le risorse petrolifere della Libia.
Il filo nero del petrolio lega il desiderio di protagonismo in Libia con l’appuntamento referendario del 17 aprile voluto da un largo fronte di forze per abrogare la legge che permette di estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa. I motivi per essere allarmati non mancano: solo cinque anni fa, a 80 miglia dalla costa statunitense, esplodeva nel Golfo del Messico la piattaforma petrolifera Deep Water Horizon della BP. In seguito all’incidente, risolto solo dopo 106 giorni di duro lavoro, sono finiti in mare oltre 500 mila tonnellate di petrolio, causando danni incalcolabili e durevoli sulla flora e la fauna dei fondali marini e delle coste della Florida, Louisiana, Mississippi e Alabama.
Immaginate le possibili ripercussioni di un analogo incidente in un ecosistema assai più fragile e infinitamente più piccolo quale il Mare Adriatico? Sarebbe un disastro incommensurabile e senza possibilità di ritorno. Una scelta difficilmente condivisibile se si considera che la posta in gioco sono giacimenti di modesta entità.
Per pochi barili di petrolio si rischia di mettere a repentaglio per sempre e non solo l’equilibrio ecologico, ma anche l’economia di intere regioni e migliaia di famiglie.
Per tutti questi motivi è necessario votare Sì al referendum del 17 aprile e dichiarare il proprio NO risoluto alle guerre e alle bombe, che per loro natura non potranno mai essere né umanitarie, né tantomeno intelligenti.

Editoriale tratto dal mensile Terra Nuova Aprile 2016

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