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Piante selvatiche da scoprire

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In ogni angolo di verde, anche nei centri urbani, possiamo trovare piante spontanee da portare in cucina o da usare per realizzare preparati fitoterapici fai da te. Come riavvicinarsi al meraviglioso mondo delle piante, per un rapporto più sano con la natura, alla scoperta di rimedi e sapori dimenticati.
Piante selvatiche da scoprire
Spesso pensiamo alle piante unicamente per la loro funzione. Le usiamo come biomassa, come materie prime, o le vediamo come contenitori di sostanze da cui attingere per soddisfare i nostri bisogni di base. In questo modo, però, rischiamo di sottovalutare la loro importanza e limitare la loro sfera d’azione su di noi. E se anche le piante avessero un loro carattere e una loro personalità?
Da millenni la nostra vita è strettamente connessa con il loro mondo, ben al di là di un semplice rapporto tra soggetto e oggetto, e si può tranquillamente pensare a una coevoluzione delle piante insieme a noi. Ma in questa affermazione forse c’è ancora troppa presunzione, perché da loro abbiamo ancora molto da imparare. Con le scoperte della neurobotanica abbiamo imparato a riconoscere alle piante un’intelligenza che fino a qualche anno fa potevamo solo sospettare. I vegetali si sono sviluppati ben prima di uomini e animali, e molto probabilmente continueranno a esistere anche ben dopo la nostra estinzione perché, in quanto a strategie evolutive, non hanno rivali. Considerando tutti i problemi che affliggono l’umanità, secondo il celebre botanico Stefano Mancuso, che dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Linv) a Firenze, non possiamo che prendere esempio da loro.
Ma qual è il rapporto che abbiamo oggi con il mondo delle piante?
Ogni anno negli orti, nelle aiuole e nei giardini pubblici ingaggiamo una guerra spietata contro le infestanti, che regolarmente si ripresentano, indomite e puntuali, nello stesso periodo dell’anno. Di fronte alla nostra furia sterminatrice le piante soffrono, ma si adattano, resistendo spesso anche agli stessi veleni che somministriamo loro per distruggerle.
Se nell’antichità attribuivamo loro persino poteri spirituali o funzioni rituali, nel corso degli ultimi decenni le abbiamo quasi dimenticate. O meglio, ne abbiamo selezionate solo alcune, quelle che abbiamo considerato utili per abbellire i nostri giardini, o per la nostra alimentazione e quella degli animali, privilegiando sempre l’apporto calorico e proteico. In questo modo abbiamo ristretto in modo drastico la nostra interazione vitale con il mondo vegetale. «Il problema di fondo» scrivevano Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando sul numero di febbraio di Terra Nuova «è che su 7 mila specie di piante utilizzate per il cibo nel corso dei millenni, negli ultimi cinquant’anni solo sei colture, grano, soia, mais, riso, orzo e colza, ricoprono il 50% della terra arabile. Il declino dell’agrobiodiversità che contribuisce al nostro cibo è ancora più impressionante: riso, grano e mais rappresentano circa il 60% delle nostre calorie e il 56% delle proteine di origine vegetale, consumando quasi il 50% di tutta l’acqua utilizzata per l’irrigazione. Le varietà più diffuse di queste colture sono geneticamente uniformi, essendo linee pure o ibride, rendendo ancora più grave la riduzione dell’agrobiodiversità».
La buona notizia è che molte delle piante che abbiamo cercato di estromettere dall’agricoltura continuano a riproporsi in modo spontaneo nei terreni incolti e si riaffacciano inevitabilmente, in modo «clandestino», anche nei terreni agricoli. Prima di trattarle come erbacce infestanti, forse vale la pena conoscerle meglio.

L’illuminazione verde

Quella di Dafne è stata una sorta di illuminazione. Avvenne al termine di un corso di erboristeria alla scoperta delle piante commestibili nel Parco dell’Aniene a Roma. «Fu come una folgore che spazzò via per sempre il concetto astratto di verde, di prato, di campagna» racconta la nostra collaboratrice, scrittrice e docente universitaria. «Ogni aiuola e ogni pezzetto di terra diventò di colpo un brulicare di “soggetti”, infinitamente diversi e ricchi di personalità, di messaggi, di usi e di sapori, oltre che, va detto, di pericoli».

A distanza di anni Dafne ha realizzato diversi documentari Rai su cibo locale, cosmesi naturale e piante selvatiche. «Mi capita spesso che mi contattino per sapere dove trovare le erbe da raccogliere. Le persone si pongono il problema del selvatico, e non si accorgono che le erbe sono dappertutto, nei parchi cittadini, nell’aiuola pubblica, ai bordi dei marciapiedi, in tutti gli spazi antropizzati. Il fatto è che, con le dovute conoscenze, le piante commestibili sono ovunque, in qualunque sprazzo di verde. C’è un’altissima concentrazione di piante edibili, che basta saper scegliere, raccogliere e usare. Da una settimana all’altra, lo stesso prato ti propone cose diverse. C’è un menu che cambia in continuazione. Alcune specie a volte hanno una finestra limitata, di poco più di una settimana, e andare a raccoglierle è sempre molto stimolante e appetitoso». Se poi ci si prende la briga di frequentare spazi più estesi di natura si incontra ancora più ricchezza e biodiversità.

Buone da mangiare

Se andiamo continuamente alla ricerca del superfood è perché abbiamo abbandonato la cucina tradizionale contadina e depauperato le nostre diete dell’apporto di alimenti vitali e piante selvatiche. Ci siamo come imborghesiti anche sul piano percettivo. Qualcuno, infatti, potrebbe avere l’impressione che con la progressiva moltiplicazione del cibo sugli scaffali del supermercato si siano guadagnati nuovi sapori. Ma in realtà questa «moltiplicazione dei pani e dei pesci» ha avuto un esito tutt’altro che scontato. Con la produzione industriale del cibo, non solo abbiamo ridotto la gamma della biodiversità nel piatto, ma abbiamo decimato gli stessi valori nutrizionali degli alimenti. Nella coltivazione intensiva si fa un largo uso di concimi azotati e di irrigazioni, si tolgono di mezzo i competitor delle piante stesse, che così ci regalano produzioni più abbondanti, guadagnando massa, ma perdendo per strada la concentrazione di micronutrienti, come vitamine, oligoelementi e sali minerali. Le serre, ma anche gli stessi campi coltivati a cielo aperto, assomigliano a dei compartimenti stagni che non lasciano spazio alla diversità. Il paradosso, come ci invita a considerare Dafne Chanaz, è che la fatica che cerchiamo di risparmiare alla pianta per crescere è proprio ciò che garantisce l’attivazione di sostanze che corrispondono a una varietà di sapori e nutrienti. Andando alla ricerca di piante spontanee nella natura e nei luoghi incolti, con un po’ della nostra fatica, stavolta, possiamo ritrovare queste stesse sostanze utili per la salute e la delizia del palato.
«Tornare a fare un po’ di raccolta sarebbe non solo utile, ma educativo» sostiene l’autrice del nuovo libro Il prato è in tavola. Piante selvatiche commestibili d’Italia (Terra Nuova Edizioni). «Oggi ci sono quattro milioni di italiani che hanno difficoltà economiche e fanno fatica a procurarsi il cibo. Senza fare troppa demagogia, credo sia importante sviluppare un minimo di autosufficienza. Ci sono piante nutrienti che crescono dappertutto come infestanti e nessuno le coglie. L’amaranto nostrano, o bietone (Amaranthus retroflexus o Amaranthus blitum), nelle sue foglie ha cinque volte più calcio, il 24% in più di proteine rispetto al latte e cinque volte più ferro del grano. Quando si passeggia, a seconda del mese o della stagione ci sono piante che si offrono a noi in modo abbondante. Basta saper cogliere ciò che è già disponibile, come silene, bardana, cardo, amaranto, seguendo il flusso della stagione».
Vi troviamo molte delle antenate delle piante alimentari più comuni, veniamo veicolati su piste che ci portano direttamente alla radice del sapore. Alcune piante vengono classificate come alimurgiche, ritenute commestibili e utili ai tempi di carestia, spesso proposte mescolate tra loro, come «misticanza», come per bilanciarne i sapori e le proprietà. Secondo Dafne Chanaz, però, i tempi sono maturi per uno scatto da veri «ribelli del cibo», con uno sguardo più raffinato e attento, che sappia esaltare l’unicità di ogni pianta, anche sul piano curativo.

Rimedi efficaci o superstizioni?

Le piante possono essere raccolte e utilizzate in molti modi, non solo in cucina, ma per tutta una serie di preparazioni fitoterapiche o cosmetiche. L’inventario a disposizione è sterminato. Ci sono piante ubique, che si trovano un po’ ovunque, e piante più difficili da trovare. Ma la soluzione, soprattutto per chi abita vicino alla campagna, è sempre a portata di mano. Abbiamo a disposizione un armamentario di pronto soccorso naturale. Ma come si fa a capire se e quando possono davvero essere utili per la nostra salute?

Le piante sono presenti da sempre nella medicina e nella farmacopea popolare. Sul piano strettamente farmacologico, però, non è sempre facile distinguere tra proprietà curative vere e presunte. Sui libri di botanica e piante officinali leggiamo dei vari benefici ed effetti sulla salute. Ma sarà davvero così? L’avvocato del diavolo, o ancor meglio del farmacista, direbbe che le quantità di principi disponibili nella singola pianta sono esigue rispetto a ciò che si può ottenere da un farmaco convenzionale. Non a caso, per far sì che se ne possa fare un utilizzo farmacologico, generalmente si raccolgono quantità considerevoli delle singole specie e varietà, per poi estrarne il principio attivo. Ma anche questo potrebbe essere un atto di riduzionismo. «L’estrazione del principio attivo è una cosa razionale e logica» argomenta Dafne Chanaz «ma non è l’unica cosa; la pianta è un fitocomplesso da considerare nel suo insieme, con molti principi che agiscono perché sono in sinergia. L’estrazione spagirica lavora ad esempio sul riportare tutta la complessità della pianta. La pianta ha un rapporto con noi, una relazione che è millenaria. Ognuna ha un suo carattere e può completare, compensare, equilibrare o esaltare anche il nostro. Il corpo riconosce ed elabora il messaggio codificato nell’insieme della pianta, più che il singolo principio estratto. C’è un rapporto biounivoco tra noi e il mondo vegetale. Alcune specie, ad esempio, possono essere sia aperitive che digestive, lavorano a seconda di quello che trovano, hanno un’intelligenza».

Riguardo poi ai risultati effettivi c’è un criterio da seguire, che secondo Dafne è fondamentale. «La ricorrenza di alcuni usi in territori e culture distanti tra loro» spiega «è un indice prezioso circa la loro relativa efficacia, a prescindere se la scienza se ne sia già interessata o meno. Se il particolare uso che se ne fa è testimoniato dall’Alto Adige alla Sicilia, vuol dire che in qualche modo deve avere un riscontro che funziona. Anche i ricercatori delle case farmaceutiche, per scoprire l’efficacia di taluni rimedi o principi attivi, si basano sul principio della ricorrenza. Al contrario, se l’uso terapeutico della pianta viene citato solo sporadicamente, potrebbe anche essere frutto di superstizione».

Come raccogliere

All’atto pratico, come fare per raccogliere le erbe? Di fronte a quello che potrebbe sembrare un compito facile e istintivo, ci troviamo un po’ spiazzati. Da qui la necessità di equipaggiarsi di una buona guida con delle immagini e i dettagli ben rappresentati. La sicurezza viene prima di tutto: le prime volte è sempre utile avere qualcuno che ci può confermare l’identità della pianta. «Si può iniziare con la guida di qualche anziano» consiglia Dafne Chanaz. «Quando si sono incamerate le conoscenze di quelle prime tre o quattro piante e ci sentiamo sicuri, ci si può già divertire, per poi piano piano ampliare l’orizzonte. Ma è sicuramente utile trovarsi dei maestri, che siano erboristi, botanici o contadini. Poi è essenziale avere rispetto. Infatti, ci sono anche delle piante tabù. Il pungitopo, ad esempio, è una pianta protetta che non va raccolta. Il raponzolo è raro, bisogna stare attenti a non raccogliere tutte le radici che si trovano per evitarne l’estinzione».
Per raccogliere è fondamentale l’uso di un cesto di vimini, in modo che la pianta non venga soffocata. È utile munirsi di un coltellino e un cacciavite piatto, bello grande per scalzare, quando serve, la radice.
L’uso più semplice delle piante è quello dell’infuso, ma non tutte sono adatte a questo scopo.
Dopo l’incontro con la natura e l’incontro con le piante, entra in gioco la conoscenza e la virtù del genere umano.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Aprile 2021

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IL LIBRO

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Contiene ritratti fotografici in alta qualità su sfondo bianco e 40 ricette illustrate che si ispirano a solide tradizioni, italiane e non. È un omaggio alla personalità unica di ogni specie che ci svela le sue doti gastronomiche e medicinali.
Diretto a curiosi e buongustai, chef di ristoranti o agriturismi, agricoltori desiderosi di valorizzare questa risorsa, naturopati e operatori olistici, IL PRATO È IN TAVOLA è un invito a ridiventare indigeni, grati e connessi con la nostra terra.
 

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