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Quando ai bimbi manca la natura

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Insicurezza, iperattività, piccole fobie, incapacità di concentrarsi e difficoltà a socializzare: sono i disturbi legati alla mancanza di natura vissuta dalle ultime generazioni di bambini.
Il giornalista e scrittore Richard Louv ne aveva teorizzato l’esistenza nel 2006 in un libro di grande successo1 e da quel momento negli Stati Uniti e in Spagna sono nati movimenti organizzati che propongono alternative al problema.
Si tratta di quello che è stato definito disordine da deficit di natura: non una vera e propria patologia, ma una condizione di vita che porta i bambini a manifestare sintomi e segnali che trovano la loro origine più profonda nella mancanza di contatto con la natura. Disturbi dell’attenzione, svogliatezza, a volte vera e propria depressione, ansia e persino l’obesità paiono avere una stretta correlazione con la deprivazione subita da queste ultime generazioni di bambini, cresciuti chiusi fra le quattro mura di casa, in città soffocate dal traffico dove gli spazi verdi sono ridotti quando non assenti del tutto.
Il libro-denuncia di Louv è stato preceduto da diversi studi che supportano la sua tesi, come quello pubblicato sulla rivista Environment and Behaviour, secondo cui i bambini che riescono a immergersi in un paesaggio popolato di alberi e di piante beneficiano di una notevole riduzione dello stress2. L’Università dell’Illinois ha poi coniato il termine Attention Restoration Theory per definire la teoria secondo cui il contatto quotidiano con la natura migliora l’attenzione, soprattutto nei bambini. Lo studio ha preso in considerazione bambini affetti da ADD, disturbo da deficit di attenzione, che sono stati osservati dai genitori dopo le varie attività, tra cui quelle a contatto con la natura, che si sono rivelate decisive per modificare l’atteggiamento dei bambini stessi3. Anche i ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia hanno constatato che i bambini che hanno la possibilità di affrontare giochi non strutturati all’aria aperta hanno poi molta più facilità nel loro sviluppo sociale ed emotivo.

Nasce l’ecopsicologia

Alcuni psichiatri negli Stati Uniti stanno cominciando a definire sintomatologicamente il disordine da deficit di natura come un insieme di insicurezza, iperattività, piccole fobie, incapacità di concentrarsi e difficoltà a socializzare, ed è proprio sulla base di questa premessa che è nata in California l’ecopsicologia, un movimento che vede uniti psicologi, counselor e guide naturalistiche con un obiettivo comune: lenire la sofferenza delle persone, soprattutto dei bambini, riportandole a contatto con la natura, un modo estremamente efficace per ritrovare anche una relazione più autentica con se stessi. In questo modo si sollecita anche la consapevolezza degli individui nei confronti dell’ambiente, li si sensibilizza alla necessità di garantire una tutela alla natura e si risveglia il senso di appartenenza al Pianeta.

Ridestare lo stupore

Anche nel nostro Paese sono veramente pochissimi ormai i bambini che crescono giocando liberi sui prati e nei boschi, che passano i pomeriggi osservando le forme delle nuvole o costruendosi nuovi giochi con i rami secchi trovati sui sentieri. E i genitori sempre più spesso non permettono loro di prendere la pioggia, di toccare animaletti sconosciuti, di sporcarsi giocando con la terra.

Proprio a fronte di questa situazione e per tentare di fornire un’alternativa, sulle montagne modenesi nell’ottobre 2009 è nato un progetto che è forse più una sfida: creare esperienze per ridestare lo stupore nei confronti di un mondo meraviglioso e in gran parte sconosciuto, per invitare alla relazione con altre creature, per stimolare l’innata sete di bellezza che risiede nel cuore di ogni persona, per favorire lo sviluppo di relazioni più autentiche e anche per far scoprire il potere del silenzio. L’idea nasce nell’ambito del Parco dei Sassi di Roccamalatina e comprende anche il Parco dell’Alto Appennino Modenese e la riserva naturale di Sassoguidano4. In ottobre è iniziata la formazione delle guide per mettere a punto un programma di attività che avrà inizio nella primavera di quest’anno. Le iniziative saranno appunto improntate a una visione ecopsicologica dell’approccio con la natura, in grado di modificare l’atteggiamento degli individui nei confronti della natura ma anche della vita stessa. Infatti, acquisendo capacità di ascolto verso ciò che ci sta intorno, siamo anche in grado di sviluppare la nostra capacità di ascolto verso noi stessi e gli altri.

Un’altra iniziativa che senza dubbio merita menzione è quella avviata nella provincia di Trento da un gruppo di educatrici ed educatori e che si chiama L’asilo nel bosco. In sostanza, è stata ripresa la filosofia dei paesi nordici del waldkindergarten, che tradizionalmente privilegia la formazione dei bambini piccoli negli spazi verdi aperti anziché in strutture chiuse. Si tratta di un’esperienza quotidiana di stretto contatto con la natura, nella consapevolezza e fiducia che questo è l’ambiente di vita, di gioco, di crescita migliore e più salutare per i bambini5.

Scuole nel bosco

È indubbio che ad aprire gli occhi a tanti sia stato proprio lo scrittore Richard Louv, fondatore tra l’altro di un’organizzazione chiamata Children & Nature Network, che negli Stati Uniti raccoglie ormai l’adesione di numerosi gruppi, tra cui il Sierra Club, The Trust for the Public Land e The Nature Conservancy, e che ha ottenuto un riconoscimento anche dal governo americano. Un esempio subito seguito dalla Spagna, dove è nata una rete simile chiamata Clubes de Naturaleza para Familias, in grado di promuovere iniziative in tutto il territorio nazionale. Anche la Svizzera si è mossa e in Canton Ticino, nel bosco di Arcegno, è nata la scuola nel bosco6, un’esperienza che porta i bambini in età scolare ad apprendere non attraverso lezioni frontali in classe ma tra gli alberi a contatto con la natura.
«Ovviamente non ho mai inteso questa mia intuizione come una diagnosi medica» spiega Richard Louv7. «Il disturbo da deficit di natura descrive le conseguenze dell’alienazione dell’uomo nei confronti della natura, quindi la diminuita funzionalità dei cinque sensi, le difficoltà di attenzione, l’alto grado di disfunzioni fisiche ed emotive. Il deficit di natura può addirittura modificare il comportamento umano nelle città. Ci sono molti studi che dimostrano come la mancanza di parchi o spazi aperti sia associata a un alto indice di criminalità, depressione e altre malattie urbane.  E badate bene che quando parlo di natura non intendo necessariamente i boschi; per un bambino può fare un’enorme differenza anche avere un gruppetto di alberi nel giardino dietro casa. Pensate che ci sono studi che attestano come chi fa jogging nei parchi sia più disteso e meno collerico di chi brucia calorie nel chiuso di una palestra; addirittura negli ospedali dura di meno il ricovero dei pazienti che hanno finestre aperte che si affacciano sul verde e sugli alberi. Sicuramente c’è bisogno di studiare a fondo questo fenomeno, ma, come dice Howard Frumkin, direttore dell’Unità di salute ambientale dei Centers for Disease Control and Prevention, ne sappiamo già abbastanza per agire di conseguenza».
Negli Usa è stata citata dai media anche l’iniziativa di due mamme di Portland che hanno realizzato un documentario dal titolo Play again, che illustra la realtà di oggi, nella quale i bambini riescono a riconoscere senza problemi almeno un centinaio di marchi pubblicitari ma non conoscono nemmeno dieci piante. Tonje Hessen Schei e Meg Merril hanno messo in piedi questo progetto, cercato i fondi e i collaboratori, e hanno ottenuto una grande attenzione. Il documentario-denuncia contiene intervistead esperti e allo stesso Louv8 e vuole essere un punto di partenza per promuovere campagne di sensibilizzazione nei confronti del problema.
Il quadro dunque è stato delineato e ora si tratta, anche in Italia, di dare un volto positivo e connotati precisi a una possibile soluzione. L’approccio ideale sarebbe mettere in rete tutte le esperienze positive che si muovono nella direzione di una riscoperta della relazione con la natura, dagli ecovillaggi alle scuole nel bosco, dalle comunità che vivono di ciò che producono riducendo al minimo i consumi alle famiglie che si organizzano per spostare interessi e lavoro al di fuori delle città. È evidente, ormai, quanto sia sentita l’esigenza di cambiare corso e c’è grande spazio per chi ha iniziativa.
Note:
1. Richard Louv, L’ultimo bambino dei boschi, Rizzoli.
2. http://eab.sagepub.com/cgi/content/abstract/35/3/311
3. http://eab.sagepub.com/cgi/content/abstract/33/1/54
4. Per maggiori informazioni sulle iniziative nei parchi dell’Emilia Romagna relative anche a percorsi inerenti l’ecopsicologia si può consultare il portale www.parks.it. Interessante è anche il sito www.ecopsicologia.it.
5. Per saperne di più: www.asilonelbosco.it, sede a Povo di Trento, via Salè 13.
6. Per saperne di più potete visitare il portale www.scuolabosco.ch
7. Us News & World Report.
8. Per saperne di più: www.groundproductions.com/playagain/index.php
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova

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