Nella crisi alimentare globale possiamo vedere una moderna versione della favola della cicala e la formica. L’editoriale di Nicholas Bawtree, direttore di Terra Nuova.
Mi è sempre risultata un po’ indigesta la favola di Esopo «La cicala e la formica»: mi stava antipatica la formica che d’estate pensava solo a lavorare per mettere insieme le scorte per l’inverno, ma non riusciva neanche a starmi simpatica la cicala che non faceva altro che cantare. Per non parlare del triste epilogo, quando, venuta la stagione fredda, la cicala bussa affamata alla porta della formica e viene allontanata in modo sprezzante: «Hai cantato tutta l’estate? Adesso balla!».
Eppure oggi è questa antica storiella a mostrarci uno dei problemi che stanno alla base della crisi alimentare globale che incombe: non facciamo più scorte. Lo spiega molto bene il giornalista inglese George Monbiot su The Guardian1: «In tutto il mondo sono cadute le barriere commerciali, strade e porti sono diventati più efficienti e la rete globale si è snellita. Si potrebbe pensare che questo sistema armonioso favorisca la sicurezza alimentare. In realtà ha permesso alle aziende di risparmiare sui costi di stoccaggio, spostandosi dalla gestione delle scorte alla gestione dei flussi. Questa strategia, definita del just in time («appena in tempo»), funziona nella maggior parte dei casi. Ma se le consegne s’interrompono o si registra un rapido aumento della domanda, gli scaffali possono svuotarsi all’improvviso».
Oggi, ci ammonisce Monbiot, il sistema alimentare globale ricorda quello finanziario prima del 2008 e bisogna correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Perché se le crisi fino a ora hanno colpito solo i paesi poveri – e quindi le abbiamo ignorate – gli effetti combinati della gestione della pandemia e della guerra in Ucraina, aggravando un problema in realtà preesistente, hanno mostrato a tutti che il re è nudo. E la cosa più assurda è che tutto questo avviene quando la produzione mondiale di cibo è ai suoi massimi storici, mentre il numero di persone malnutrite è tornato ad aumentare vertiginosamente.
Per comprendere a fondo il problema bisognerebbe analizzare il complesso funzionamento del sistema alimentare, ma sicuramente alle sue radici ci sono la convergenza verso una «dieta standard globale» e il monopolio delle grandi aziende. Si stima che attualmente solo quattro multinazionali controllino il 90% del commercio mondiale di cereali e appena quattro prodotti – grano, riso, mais e soia – rappresentino quasi il 60% delle calorie coltivate in agricoltura, con una produzione peraltro fortemente concentrata in pochi paesi, tra cui Russia e Ucraina.
Mi viene da pensare a una nuova versione della favola di Esopo, in cui la formica rappresenta tutti coloro che non riescono a vedere oltre i meccanismi governati dall’accumulo di denaro, come i grandi manager dell’agroindustria che ci stanno conducendo verso il baratro, mentre la cicala raffigura tutti coloro che «cantano» una proposta diversa: giornalisti, ricercatori, agricoltori, artisti, attivisti… Alla fine tutti gli insetti si rendono conto del pericolo imminente e collaborano per produrre, raccogliere e stoccare cibo sano seguendo i principi dell’agroecologia, della biodiversità, della localizzazione e dello stoccaggio. E, arrivato l’inverno, inaugurano un sistema di case aperte per non far mancare a nessuno un piatto caldo. Nemmeno a quelle formiche alle quali da mangiare sono rimasti solo i bitcoin.
1. «La mancanza di cibo in una fase di abbondanza», The Guardian – pubblicato in Italia su Internazionale n°1464, pag 106.
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