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Sea Shepherd: i pastori del mare

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Da volontari, senza stipendi né rimborsi, si imbarcano per i mari in difesa delle creature acquatiche barbaramente uccise dal bracconaggio, rischiando talvolta la vita. Sono i «pastori del mare» e questa è la storia del loro attivismo e della loro battaglia.
1938 è il numero dei delfini massacrati dai pescatori giapponesi tra il 2014 e il 2015. Ogni anno, nelle acque nipponiche perdono la vita 20.000 creature, tra foche, balene e delfini. Una sorte analoga è toccata, fino all’anno scorso, a oltre 950 globicefali dell’oceano Antartico e a migliaia di cernie brune e ricci del Mediterraneo. È la barbarie del bracconaggio, a cui si contrappone la volontà di chi si batte per portare in salvo gli esseri viventi dei mari di tutto il mondo.
Si chiamano Sea Shepherd, ovvero «pastori del mare»: un nome quantomai appropriato dal momento che, con le loro operazioni, guidano e mettono in sicurezza greggi di balene, foche, delfini, squali e merluzzi, massacrati spesso senza una ragione, come nel caso dei globicefali delle Faroe Islands, un arcipelago nell’oceano Atlantico di proprietà danese, dove questi animali vengono inseguiti, uccisi, marchiati, brandellizzati e poi fatti inabissare con dei piombi per occultarne il cadavere. Il motivo? La grindadráp, una caccia praticata dai faroesi per una tradizione mantenuta in nome delle loro origini.

Tre tipi di volontari

I volontari dell’associazione Sea Shepherd si sentono un po’ dei pirati del mare, non solo perché hanno una bandiera nera con un teschio (sotto al quale, al posto delle tibie, campeggia il tridente di Poseidone incrociato al bastone dei pastori), ma anche perché sono pronti persino a speronare le navi dei bracconieri, mettendo a rischio tutti i giorni la loro stessa vita.
L’associazione, strutturata gerarchicamente, si basa sul contributo degli attivisti, che si dividono in tre categorie: da una parte ci sono gli off-shore, i volontari di bordo che, dopo una scrupolosa selezione in base a specifiche competenze, sono ritenuti idonei a prendere parte alle operazioni via mare; dall’altra ci sono gli on-shore, ovvero i volontari di terra, che hanno il compito di sensibilizzare le persone sull’importanza della preservazione della biodiversità e della salvaguardia delle specie a rischio di estinzione, oltre che di raccogliere fondi per acquistare nuove navi. (…)

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