I rischi per la salute legati alla presenza di solfiti nel vino sono spesso sottovalutati. Nei vini bio la loro presenza è fortemente ridotta… ma si può fare senza?
La risposta è sì, a patto di rieducare il nostro palato a un vino non adulterato, prodotto con grande cura in tutte le fasi di produzione.
“In vino veritas”… si fa per dire. Se si considera il livello di adulterazione dei vini reperibili in commercio, di verità nella bottiglia ce n’è ben poca. Ma per fortuna, come nel mondo di Asterix, molti piccoli viticoltori resistono all’omologazione che chimica, tecnologia e industrializzazione hanno portato nel mondo del vino.
Uno dei principali indicatori del grado di sofisticazione è la presenza di solfiti, che viene ammessa in quantità giudicate da molti fin troppo elevate anche nella produzione biologica, normata nel 2012, con il probabile scopo di favorire paesi meno vocati alla produzione del vino di qualità.
Volendo riconoscere alla chimica qualche merito, se negli ultimi decenni delle cattive uve hanno potuto dare del vino buono è anche grazie all’anidride solforosa (SO2). Tuttavia, ogni buon estimatore del vino contadino sarà pronto a giurare che il mal di testa del giorno dopo proviene più dalla presenza di solfiti che dal grado alcolico.
In Francia, secondo l’Agenzia nazionale per la sicurezza sanitaria, più di un milione di francesi sarebbe in overdose da solfiti, assunti per colpa del vino. Il problema riguarderebbe il 3% della popolazione che, ogni giorno, supera la soglia massima di 50 mg stabilità dall’Oms.
Gli Italiani, come secondi consumatori di vino al mondo, non sono affatto esenti dal rischio, in particolare perchè prediligono i vini bianchi anche frizzanti. Ma le insidie si nascondono anche in tutti i cibi industriali in cui è presente la SO2, usata sia come antiossidante che come antisettico, e che a volte non ha l’obbligo di comparire in etichetta.
Gli effetti indesiderati vanno da nausea a eruzioni cutanee, asma, difficoltà respiratoria, fiato corto, respiro affannoso e tosse…
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