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Sos Rosarno: la forza della rete

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Nata per impiegare nell’agricoltura contadina i migranti della difficile realtà calabrese, la cooperativa Sos Rosarno è ormai un importante punto di riferimento che anima e collega le numerose attività della poliedrica società civile italiana.
Nella variegata costellazione di gruppi impegnati nella costruzione di un’economia alternativa in Italia c’è chi cerca di creare sinergie e collaborazioni affinché la rete si espanda e diventi più incisiva.
È il caso di Sos Rosarno, cooperativa nata nel 2010 in risposta ai sanguinosi fatti avvenuti nella piccola cittadina calabrese da cui prende il nome. Nell’inverno di quell’anno, i migranti impiegati in condizioni disumane nell’agricoltura intensiva avevano inscenato una rivolta dopo che tre di loro erano stati feriti a colpi di fucile sparati insensatamente da alcuni abitanti della zona.
La piana di Gioia Tauro, con le sue monoculture di agrumi e pomodori, attira ogni anno un numero impressionante di lavoratori, perlopiù africani, disposti, a causa della loro totale vulnerabilità, a lavorare per pochi euro al giorno in condizioni che possiamo definire di neo-schiavitù.
«La situazione è molto critica. In un clima di crescente razzismo, le persone continuano ad arrivare e la risposta delle istituzioni è del tutto inadeguata. Questo non fa altro che alimentare situazioni invivibili, come i ghetti in cui prolifera la disperazione e si fomenta la guerra fra poveri» spiega Nino Quaranta, uno dei fondatori di Sos Rosarno. «La nostra idea è invece quella di cercare un graduale inserimento dei migranti nel tessuto sociale del nostro territorio, dove ci sono interi paesi spopolati. Se trattiamo questo fenomeno sempre come emergenza, non riusciremo mai a risolverlo: non dobbiamo dimenticare che lo sfruttamento del lavoro avviene perché la grande distribuzione organizzata impone prezzi dell’ortofrutta assolutamente risibili».
Al gruppo costitutivo della cooperativa, ripartire da un’agricoltura contadina e rispettosa del territorio è quindi sembrata la strada migliore per creare inclusione e gettare le basi per una cultura del rispetto.
L’associazione ha iniziato impiegando i braccianti nelle coltivazioni biologiche delle arance, che sono presto diventate un simbolo del riscatto umano e lavorativo di queste persone, finalmente impiegate regolarmente e in maniera dignitosa. Ma recentemente sono nate in seno alla cooperativa numerose nuove collaborazioni, che hanno ampliato la varietà dei prodotti in listino, venduti in tutta Italia e in Francia tramite la rete dei Gruppi d’acquisto solidale.
Attraverso la neonata cooperativa Mani e terra, Sos Rosarno ha preso in affitto un appezzamento di terra su cui coltiva pomodori, melanzane e i famigerati peperoncini della zona, che vende sotto forma di trasformati.
L’anno scorso una parte dei terreni è stata coltivata con tre varietà di grani antichi, da cui poi, grazie alla collaborazione con l’associazione cosentina Il seme che cresce è stata prodotta la pasta.
Per ribadire l’importanza di una rete coalizzata sul territorio, Sos Rosarno collabora con varie realtà locali, come il consorzio di cooperative Macramè, di Reggio Calabria, impegnato nell’inserimento sociale dei migranti, cui presta il proprio lavoro su un terreno confiscato alle mafie.
Perché la rete sia davvero incisiva e possa influenzare il mercato, la cooperativa ha rivolto lo sguardo verso orizzonti sempre più ampi, come quello che lega il gruppo calabrese ad Ari, l’Associazione rurale italiana, e la rete FuoriMercato, network nazionale a cui l’associazione ha dato vita insieme alla Ri-maflow1, la fabbrica recuperata nella periferia di Milano, che oggi funge da punto di smistamento logistico dei prodotti distribuiti dal gruppo d’acquisto. Nel tentativo di costituire una filiera autonoma e parallela al mercato della grande distribuzione, FuoriMercato offre un’importante collaborazione fra città e campagna. Tra i frutti di questa proficua collaborazione, è simbolico il Rimoncello, limoncello prodotto dalla fabbrica milanese con le arance di Sos Rosarno.
«Siamo fermamente convinti che se non cerchiamo più connessioni possibili siamo destinati a essere sempre una nicchia, che pensa delle cose buone ma che non riesce a incidere sulla società» spiega Nino Quaranta. «Io credo che possiamo lavorare tutti insieme, università, singoli, Gruppi di acquisto solidale, giornalisti, contadini, affinché si possa avere un cambiamento culturale significativo».
 
Note
1. Ne abbiamo parlato nell’articolo «Ri-maflow, la fabbrica dei sogni», febbraio 2016.
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Brano tratto dall’articolo Migranti e agricoltura:terreni d’incontro

Leggi l’articolo completo sul mensile Terra Nuova Settembre 2018
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