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Terra bruciata: l’editoriale del direttore di Terra Nuova

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Tra le tante conseguenze devastanti delle guerre, ce n’è una spesso dimenticata, nascosta tra le pieghe dei bilanci di spesa e delle trattative di pace: l’impatto sull’ambiente, di cui parla l’inchiesta di Rita Cantalino sul numero di gennaio della rivista Terra Nuova

Terra bruciata: l’editoriale del direttore di Terra Nuova

Tra le tante conseguenze devastanti delle guerre, ce n’è una spesso dimenticata, nascosta tra le pieghe dei bilanci di spesa e delle trattative di pace: l’impatto sull’ambiente, di cui parla l’inchiesta di Rita Cantalino sul numero di gennaio della rivista Terra Nuova

L’editoriale di gennaio del direttore di Terra Nuova, Nicholas Bawtree.

«Ogni conflitto lascia una cicatrice profonda sul Pianeta, un segno che spesso resta molto più a lungo di quanto durino le ostilità.

Pensiamo alle emissioni di gas serra del settore militare, che rappresentano il 5,5% del totale globale. Oppure ai poligoni militari che, come in Sardegna, avvelenano il suolo, l’acqua e l’aria, compromettendo interi ecosistemi. E ancora alle tonnellate di detriti, ordigni inesplosi e materiali tossici che infestano le terre una volta fiorenti, riducendo a nulla ogni speranza di rigenerazione naturale. Come possiamo pensare di affrontare la crisi climatica se ignoriamo l’impronta ambientale della guerra?

La devastazione ecologica non è un effetto collaterale. È essa stessa un’arma, silenziosa e spietata. Le esplosioni distruggono foreste e bacini idrici, gli incendi rilasciano nell’atmosfera quantità spaventose di gas serra, le operazioni militari devastano suoli agricoli e riserve naturali. Quando la guerra finisce, l’ambiente non torna al suo stato originario: restano terre sterili, acque contaminate, comunità costrette a convivere con i veleni e la mancanza di risorse. In un mondo che si dichiara impegnato nella transizione ecologica, come possiamo accettare che i costi delle guerre continuino a essere esclusi dai calcoli delle emissioni globali? Come possiamo ignorare che la ricostruzione postbellica moltiplica l’uso di cemento, materiali inquinanti e risorse energetiche? La pace, ci dicono, è una questione umanitaria. Ma è anche, indissolubilmente, una questione ambientale.

Ed è qui che dobbiamo interrogarci. Non basta che politici e governi si proclamino paladini della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico, devono anche prendere una posizione chiara contro le guerre.

Non basta piantare alberi e incentivare l’energia rinnovabile, se al contempo si finanziano armamenti e si alimentano i conflitti.

La vera transizione ecologica inizia dalla pace.

Senza di essa, ogni sforzo sarà vanificato, ogni foresta distrutta e ogni falda avvelenata ci ricorderanno che non possiamo salvare il Pianeta finché continuiamo a distruggerlo con le bombe».

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