Turista responsabile? Ahi ahi ahi!
homepage h2
Ecco, ora ad esempio sono giunto in un’isola davvero incantata. Intorno a me, giungla ovunque.
Man mano che le ore passano la mia frustrazione sale. Devo scegliere…
Penso che, se fossi rimasto a casa, forse non avrei contribuito allo scempio, poi mi chiedo se invece frequentando alcuni luoghi non possa contribuire alla loro salvaguardia. Lascio l’isola e riprendo uno dei mille autobus. Di nuovo i paesaggi immacolati si alternano a quelli devastati. Le ruspe dello «sviluppo» si mangiano montagne e colline, straziano il mio cuore. Incessante, come un martello pneumatico, una domanda mi sovrasta: possiamo fare qualcosa? Non lo so. Gli abitanti locali, che sempre tendiamo a mitizzare, mi sembrano totalmente inermi, indifferenti.
Guardandomi intorno ho l’impressione di essere circondato da popolazioni che hanno assunto ogni difetto dell’Occidente senza averne incarnato nemmeno un pregio. «Forse gli mancano gli anticorpi» mi dico, mentre il mio cuore sanguina.
Ti senti un pezzente, a trattare per un euro, ma forse è la loro cultura, ti dici. La nostra cultura, la loro cultura. Tutti agiamo in nome o contro una cultura, e finiamo col dimenticare chi siamo. Qui sembra che tutti vogliano fregarti. Anche tu, che normalmente ti senti più povero che ricco, vieni visto come un salvadanaio che cammina. E non solo da gente povera o disperata, ma anche da gente «comune», che in alcuni casi è persino più «ricca» di te. E così diventi diffidente, cammini veloce, non vuoi comprare l’ennesima banana, non vuoi un «tuc tuc», non vuoi un massaggio, non te ne frega niente dei magnifici e magnificati mercati.
Ho vissuto giornate splendide, visitato luoghi indimenticabili, esplorato grotte, arcipelaghi, foreste, siti archeologici. Ma il dolore, silenzioso, mi ha sempre accompagnato. Lo ha fatto in questo viaggio come in tutti i viaggi della mia vita, compresi quelli a piedi, in treno o in camper, nel mio paese.
Quando viaggio spengo il telefono, non guardo le email, niente social. Stacco da tutto, ma cerco di non staccare mai la spina della mia consapevolezza.
Una volta ho letto una citazione: «La consapevolezza è un incubo». Per certi versi è vero.
Allora devo trovare un modo per scoprirlo. Dobbiamo incontrarci, possiamo incontrarci! Possiamo attivarci, intervenire, possiamo cambiare le cose. Spero che sia così, sogno che sia così, voglio che sia così! E allora, una domanda torna a martellarmi dentro: «Possiamo fare qualcosa?» Sì, possiamo. O possiamo quanto meno vivere nel tentativo di farlo.