Spesso le notizie apparentemente più insignificanti nascondo grandi verità. E proprio per questo vengono ignorate. È il caso della piccolissima isola di Jean Charles, a sud della Louisiana, i cui abitanti sono costretti ad abbandonare le loro case… L’editoriale del nuovo numero di Terra Nuova Ottobre 2016.
Un tempo, l’isola misurava 18 chilometri di lunghezza per 8 di larghezza. Poi, a partire dagli anni ’50, il livello dell’oceano ha cominciato a salire, rosicchiando via via sempre più costa, fino a ingoiare il 98% della superficie e a costringere gli ultimi 400 residenti a trasferirsi. Sono stati questi i primi «rifugiati climatici» made in Usa, anche se purtroppo non sono i primi in assoluto a subire l’effetto più spettacolare e devastante del riscaldamento globale.
Qualcosa di analogo sta accadendo nelle Kiribati, in Oceania (33 isole sparse in un’area di 4 mila chilometri quadrati, con poco più di 100 mila abitanti) e nelle isole Salomone. Sembra proprio che la previsione dell’Intergovernmental panel on climate change, secondo cui entro il 2100 il livello dei mari aumenterà tra i 26 e gli 82 centimetri, si stia lentamente avverando.
Che fare?
Come difendere le future generazioni da un disastro irreversibile per gran parte del nostro paese?
Lanciare un crowdfunding per una novella arca di Noè a impatto zero?
Andare a vivere sugli Appenini?
È evidente che la battaglia contro il riscaldamento globale non consente scorciatoie, né individuali, né nazionalistiche. Ci costringe a coniugare il livello privato delle buone pratiche con il livello politico: esercitare la massima pressione su chi ci governa a favore della sostenibilità.
La buona notizia è che un cambiamento di tendenza si comincia a intravedere: nei primi tre mesi del 2016, il Costa Rica ha generato il 97% della sua elettricità da fonti rinnovabili; anche Portogallo, Germania e Gran Bretagna hanno, sia pure per un tempo molto ridotto, soddisfatto il 100% dei consumi elettrici con fonti rinnovabili. In Italia, nonostante la pesante crisi economica, sono sempre più numerosi i cittadini e gli agricoltori che scelgono il bio.
Nel 2015, 4500 nuove aziende bio si sono aggiunte a quelle già esistenti (+8,2%) e sono stati convertiti altri 104 mila ettari di terra (+7,5%), portando a 1,5 milioni gli ettari coltivati con metodo biologico: il 12% della superficie nazionale. I primi sei mesi del 2016, a fronte di un calo dei consumi di alimenti convenzionali dell’1,2%, il biologico confezionato venduto nella grande distribuzione ha fatto registrare un +21%.
In questo scenario preoccupante, ma non privo di elementi incoraggianti, sembra mancare un ingrediente fondamentale: la capacità, da parte di chi si occupa della cosa pubblica, di affrontare una sfida globale, quale l’alterazione del clima, con strategie altrettanto globali, condivise ed efficaci. Pare proprio, parafrasando Clemenceau, che «il futuro del Pianeta sia una cosa troppo seria per affidarla ai politici».
Puoi ricevere il mensile Terra Nuova a casa tua ogni mese in abbonamento oppure acquistare la singola copia dell’ultimo numero in cartaceo o pdf su www.terranuovalibri.it