Mai come in questo clima di elezioni europee si è respirato un sentimento così profondamente antieuropeista.
Non possiamo credere all’idea di un’Europa diversa? Cos’è che non funziona, e cos’è che dovremmo davvero riformare?
L’Europa ha un peccato originale: non nasce come progetto politico, ma come progetto economico al servizio delle imprese.
Nel dopoguerra i confini nazionali furono percepiti come una camicia di forza che limitava l’espansione del mercato. Le imprese erano ancora troppo deboli per avventurarsi nella competizione globale e optarono per una via di mezzo: l’unione doganale. Fu creata un’area comune con le medesime tariffe doganali verso il resto del mondo, permettendo alle merci degli stati aderenti di circolare senza ostacoli all’interno dell’area condivisa.
Dopo i primi raggruppamenti nel 1957 venne firmato il Trattato di Roma che istituiva la Comunità Economica Europea. Successivamente vennero fatti molti altri passi avanti verso l’integrazione economica, il più importante dei quali fu l’introduzione della moneta unica oggi adottata da 19 paesi. Ma nacque anch’essa all’insegna nel neoliberismo: invece di essere governata in una logica di servizio a vantaggio della collettività, venne organizzata come moneta merce, per permettere al sistema bancario di trarre profitto dalla sua gestione. L’effetto più catastrofico fu la totale separazione fra governi e Banca Centrale Europea, che in forma diretta non può prestare anche un solo centesimo direttamente ai governi. Una misura che ha limitato l’azione dei governi mettendoli in una posizione di grande dipendenza nei confronti delle banche. E così, in occasione della crisi, per tutelare gli interessi della banche è stata imposta l’austerità a tutti i paesi altamente indebitati.
Abbiamo scoperto la faccia triste di un’Europa priva di politica sociale e abbiamo sperimentato la faccia crudele di un euro totalmente gestito all’insegna del mercato e della concorrenza.
Di questo malcontento oggi ne approfittano soprattutto i sovranisti, nostalgici del nazionalismo, che propongono come soluzione il ritorno ai capitalismi nazionali.
Vogliamo rimanere impantanati nel contenzioso dei capitalismi nazionali o del capitalismo globalizzato? Possiamo tollerare altre disuguaglianze, guerre e devastazioni ambientali?
L’Europa non nasce a sovranità popolare ma a sovranità contrattuale. È il risultato di accordi fra stati che hanno posto i trattati a fondamento della nuova entità. E alla fine si sono dati un’organizzazione simile a quella di un condominio: gli accordi di base dell’amministrazione sono i trattati; l’assemblea dei condomini è il Consiglio dei primi ministri; l’amministratore per la gestione corrente è la Commissione Europea. Quanto al Parlamento Europeo, non ha ancora un’identità ben precisa. Di prassi esprime pareri e solo su alcune materie decide assieme al Consiglio. Ma non ha iniziativa legislativa, non può proporre il varo di nuovi provvedimenti a carattere vincolante, può solo chiedere alla Commissione di avanzare proposte. Perché non dargli dignità e diritto di iniziativa legislativa?
L’altro grande aspetto da riformare è il governo dell’euro. Se l’Europa è rimasta abbarbicata in maniera così ostinata all’austerità è perché ha privato gli stati di qualsiasi altra possibilità di credito che non sia il mercato. Senza nessun altro soggetto a cui rivolgersi per finanziare i propri deficit, ai governi non è rimasta altra scelta se non quella di piegarsi ai diktat dei creditori.
Ma l’alternativa esiste, è presente in tutti i principali paesi del mondo e si chiama Banca Centrale, l’organo di emissione monetaria. La paura che se ne potesse abusare ha indotto l’Europa a creare un muro fra governi e Banca Centrale Europea. Un muro che diventa una porta sbarrata in caso di incendio. Bisogna modificare il Trattato di Maastricht per permettere ai governi di accedere direttamente ai finanziamenti della Banca Centrale Europea: una misura sociale per mettere i cittadini europei al riparo dalle intemperie economiche.
Un’istituzione che nel proprio atto costitutivo sostiene di voler combattere l’esclusione sociale e promuovere la giustizia, dovrebbe ripartire proprio da qui.
Francesco Gesualdi è un attivista e saggista italiano. Fu allievo di don Milani ed è il fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa), che si propone di ricercare nuove formule economiche capaci di garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni fondamentali.
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