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«Verde» e «green» non sono la stessa cosa

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In politica le parole non sono usate a caso… La riflessione di Alessandro Michelucci.
«Verde» e «green» non sono la stessa cosa
Molte esperienze politiche sono state associate ai colori: il rosso indica la galassia comunista-socialista; le rivolte popolari ucraine del 2004 sono passate alla storia come “rivoluzione arancione”; più recenti sono i gilets jaunes, i gilet gialli francesi. Questa proiezione cromatica della politica è oggetto di un libro, Les révoltes en couleurs (Le Péregrinateur, 2021), curato dallo storico francese Jean-Michel Dequeker-Fergon.
I nomi dei colori sono immutabili per natura. Quello che può cambiare, invece, è il modo in cui questi vengono inseriti nel linguaggio politico corrente. Prendiamo il termine verde, comunemente associato alla sensibilità ecologista. Negli ultimi anni questa parola è praticamente scomparsa dal linguaggio politico, dove è stata sostituita da green. A prima vista questo può sembrare l’ennesima espressione di conformismo anglofilo, così come si dice ginger anziché zenzero o dispenser al posto di dosatore. Ma il caso che ci interessa è diverso: dire green anziché verde ha un preciso significato politico.
Oggi i problemi ambientali hanno assunto un tale rilievo che nessuno può negarli, perciò è diventato necessario parlarne senza però confondersi con gli ecologisti. Ecco perché green e verde vengono usati con due accezioni diverse. Il primo indica una generica consapevolezza dei problemi ambientali, di fatto limitata ai mutamenti climatici, mentre il secondo abbraccia tutti i temi ecologici e ne fa il cardine di un progetto politico preciso.
Il fatto che in politica le parole non vengano usate a caso viene confermato dalle scelte del Governo Draghi. Nell’esecutivo nato il 13 febbraio è scomparso il Ministero dell’Ambiente, sostituito da quello “della Transizione Ecologica”. Un termine che in sé non significa nulla, dato che la transizione, come dice il vocabolario, è “il passaggio da una situazione all’altra”. Un’altra, ma in pratica quale? Il nuovo dicastero è stato affidato a Roberto Cingolani. Economista, accademico, banchiere, dal 2019 al momento della nomina governativa Cingolani è stato responsabile del settore tecnologico di Leonardo (ex Finmeccanica), leader nella produzione ed esportazione di armamenti. Ora abbiamo capito dove sia orientata la “transizione ecologica” del governo in carica.
Il 29 settembre scorso, a Milano, si è tenuta la conferenza stampa dove veniva presentato il documento della conferenza dei giovani sul clima, che fra l’altro chiede la chiusura delle industrie basate sulle fonti fossili entro il 2030. “Un documento molto buono, di cui sono stati approvati i messaggi chiave. È stato fatto un lavoro straordinario” ha dichiarato il Ministro Cingolani: parole vuote che non costano nulla, ma che garantiscono un certo ritorno d’immagine.
 
Alessandro Michelucci, giornalista e traduttore, da oltre trent’anni si occupa dei problemi delle minoranze, dei popoli indigeni e delle nazioni senza stato. Ha tradotto l’ Atlante dell’Uranio (Multimage – Terra Nuova, 2021).
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Articolo tratto dalla rubrica Spunti di vista

Leggi la rubrica sul mensile Terra Nuova Novembre 2021
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