Vai al contenuto della pagina

Vivere in natura è diventato illegale?

homepage h2

Walden, il romanzo di Henry David Thoreau che ha ispirato i moderni movimenti ecologici, oggi non potrebbe essere scritto. 167 anni dopo la pubblicazione di quel testo, infatti, le moderne regole burocratiche renderebbero impossibile quell’esperimento visionario di vita a contatto con la natura. Ne è testimone Fabrizio Sulli, sotto processo per aver cercato una vita diversa.
Vivere in natura è diventato illegale?
Se Henry David Thoreau avesse deciso oggi di andare a vivere in un bosco autocostruendo una casa con tanto di camino, coltivando i terreni adiacenti e utilizzando ciò che il bosco ha da offrire per la propria sopravvivenza, invece che consegnare alla storia un libro immortale, avrebbe rischiato di finire in carcere.
Potrebbe far sorridere, ma invece è la cruda realtà dei fatti: colui che viene spesso considerato come l’ispiratore dei movimenti ambientalisti e di decrescita, sarebbe trattato alla stregua di un criminale per non aver rispettato gli standard sanitari, i cavilli burocratici sull’abitabilità e le innumerevoli norme di legge che si interpongono tra chi cerca uno stile di vita meno artificioso e le istituzioni. Se, da una parte, le regole vengono scritte proprio per favorire una convivenza civile in un mondo in cui gli abitanti aumentano e le risorse diminuiscono, oggi siamo davanti ad un vero e proprio paradosso: per decrescere, per cercare una vita più semplice e a contatto con la natura, bisogna avere a disposizione dei capitali, e lo vedremo più avanti con la storia di Fabrizio. In caso contrario le soluzioni sono solo due: o vivere in una sorta di zona grigia in cui le regole burocratiche vengono interpretate con un po’ di fantasia, sperando che i controlli di rito siano clementi, oppure inaugurare una vera e propria disobbedienza civile.

Donne e uomini disobbedienti

La disobbedienza è una materia in cui Thoreau era un vero e proprio esperto, visto che un altro dei suoi capolavori porta proprio quel nome, ed è il libro Disobbedienza civile. E se il parallelo moderno che salta subito in mente è il libro di Erri De Luca La parola contraria, fa effetto sapere che quel libro nacque proprio dopo che Thoreau finì in carcere.
Siccome era contrario alla schiavitù, allora ancora permessa, e anche alla guerra d’espansione nei confronti del Messico, si rifiutò di pagare le tasse. In prigione ci finì solo per una notte, perché la tassa fu pagata dalla zia, ma è da questa esperienza che nasce il libro dato alle stampe con il titolo Resistance to civil government, considerato come il testo alla base dei futuri movimenti di protesta non violenta, incarnati da uomini eccezionali come Gandhi e Martin Luther King. E uno dei grandi temi di fondo del libro, a fianco alla necessità di disobbedire a leggi ingiuste o comunque di fare resistenza, è che qualsiasi forma di governo limiti drasticamente la specificità di ogni individuo.
E chissà se anche Julia Hill, prima di decidere di andare a vivere su un albero per più di due anni (738 giorni, per essere precisi) per proteggerlo, non avesse fatto suoi proprio i principi espressi circa 150 anni prima proprio da Thoreau. La sua azione, eclatante e coraggiosa, fu messa in pratica proprio per evitare l’abbattimento delle sequoie millenarie in quella parte della foresta di Humboldt, in California, e ne scese solo dopo aver ottenuto il risultato sperato: era il 18 dicembre 1999 quando la Maxxam Corporation rinunciò all’abbattimento degli alberi. Ma la sua battaglia non era finita: dalle proteste in Ecuador per scongiurare la costruzione di un oleodotto, per arrivare a quelle contro la guerra in Iraq, la scelta di Julia è stata quella di diventare una wartax resister, proprio come Thoreau, e di utilizzare i soldi che avrebbe dovuto spendere in tasse per le cause a cui tiene, invece di versarli all’agenzia federale.

Le difficoltà burocratiche di una vita alternativa

Anche in Italia, chi fa scelte controcorrente rischia di ritrovarsi in mezzo a problemi che prima non avrebbe nemmeno immaginato. Un esempio recente è quello di Elena e Alessia, che avevano scelto di trasferirsi all’estero a bordo del proprio camper, vivendo ciascuna del proprio lavoro. Una scelta in pieno stile Nomadland, adattamento cinematografico del libro della giornalista Jessica Bruder che, raccontando la vita degli americani itineranti che hanno abbandonato la loro casa per vivere la strada a tempo pieno, ha vinto un Leone d’Oro, un Golden Globe e tre premi Oscar. Il primo stop, però, è arrivato a causa della pandemia, che ha impedito loro di viaggiare. E così, tornate a Treviglio, dove una delle due ragazze aveva parenti e interessi lavorativi, chiedono al comune di potersi iscrivere all’anagrafe come persone senza fissa dimora, per andare avanti a vivere nel loro camper. «L’iscrizione anagrafica non è un provvedimento concessorio, ma un diritto per il cittadino e un obbligo per l’ufficiale d’anagrafe» sottolinea a Terra Nuova l’avvocato Michele Pezone. Ad ogni modo, per le due ragazze, nonostante le ripetute richieste, il tutto si risolve in un nulla di fatto e, invece che ricorrere per vie legali, scelgono una via più semplice: si spostano in un altro comune, quello di Arcene, dove in cinque giorni ottengono i documenti necessari.
Ma anche recuperare una casa in un luogo sperduto può diventare un problema. «Il rischio per le popolazioni montane, oggi, è quello di essere sfrattate dai proprio territori proprio come è accaduto agli indigeni americani», sottolinea Fabrizio Sulli, oggi sotto processo proprio per aver cercato una vita diversa sui monti del teramano, recuperando una casa di famiglia per trasformarla nella proprio dimora. «Oggi bisogna crescere, prima di poter decrescere: io lo chiamo il “lusso imposto” e, per come la vedo io, sarà uno dei grossi temi del prossimo futuro».
Fabrizio, guida ambientale escursionistica, queste difficoltà le sta vivendo oggi sulla propria pelle, visto che gli sono contestati vari illeciti e reati, alcuni presunti, altri fatti per sussistenza o per aiutare la fauna locale, e in primavera è stato chiamato a processo. Ci troviamo in provincia di Teramo, all’interno del parco nazionale del Gran Sasso, in una casetta nel bosco nel comune di Castelli, dove Fabrizio, che di anni ne ha trentaquattro, si è trasferito da undici, scegliendo la natura.

Il carro in mezzo ai buoi

«Nel complesso ho sempre cercato di aiutare l’ecosistema forestale in cui vivo reintroducendo le specie che nel tempo sono scomparse» racconta.
Oltre ad essere guida ambientale, Fabrizio, che per scelta ha deciso di vivere con pochi soldi, fa lavori saltuari come giardiniere e potatore nelle zone vicine. E le vere difficoltà non le ha trovate in questa vita semplice, ma nella burocrazia. Un processo per abuso edilizio è in corso perché Fabrizio aveva ricostruito con legname di recupero una parte della casa che era crollata. «Ho già provveduto a smontare ciò che avevo costruito per evitare multe e mostrarmi collaborativo ». La stessa accusa gli è stata affibbiata per la creazione di tre pozze per permettere la riproduzione di diverse specie di anfibi, rospi, rane appenniniche e salamandre, tra le quali figurano anche specie protette, che infatti hanno già iniziato a vivere nella loro nuova casa. «In questo caso, ho scelto di non distruggerle, visto che stiamo parlando di zone umide e di specie tutelate».
Dato che ancora non basta, si è preso anche una denuncia per aver introdotto armi e una per bracconaggio. In quei giorni Fabrizio ospitava un amico che si dilettava con il tiro con l’arco, e così i due hanno provato a lanciare qualche freccia contro un materasso. Il giorno dopo si sono presentati i Carabinieri forestali, con in mano un mandato per la ricerca di armi. Due roncole che Fabrizio usava per la legna gli vengono sequestrate. E da qui parte l’accusa di aver introdotto armi in una zona protetta.
Ma non è finita. Perché, nei giorni precedenti, Fabrizio aveva trovato un piccolo cinghiale, che aveva momentaneamente portato a casa per rifocillarlo, prima di avvisare dell’accaduto la veterinaria che lavora per i Carabinieri forestali e mettersi d’accordo per portalo nel centro più vicino non appena si fosse rimesso in forze. Ma la sua versione dei fatti non è bastata a risparmiargli anche una denuncia per bracconaggio. Fabrizio sottolinea che sono almeno dieci anni che combatte i bracconieri, facendo anche segnalazioni agli uffici preposti, tanto che la veterinaria testimonierà in suo favore al processo.
Infine, per non farsi mancare nulla, c’è una multa da mille euro. Gli era stata comminata perché aveva portato un gruppo di persone a fare un «bagno di foresta», una pratica sempre più diffusa, ma secondo le autorità avrebbe dovuto essere una guida alpina o di media montagna per poterlo fare. Per fortuna il provvedimento è stato annullato dal giudice di pace che ha sottolineato come anche le guide escursionistiche, come Fabrizio, possono guidare quel tipo di esperienza.

Inconciliabile con la modernità

Ma cosa avrà mai fatto di male Fabrizio per attirare su di sé l’ira delle forze dell’ordine? «Mi sono permesso di alzare la testa, sto divulgando delle ideologie e sto aggregando persone alla causa». Quale causa? «Quella di ritornare a vedere l’uomo come parte integrante e migliorativa della natura, e del non vedere più la natura o un parco come una scatola chiusa in cui si traccia una riga al di fuori della quale puoi distruggere, mentre all’interno devi avere dei soldi per fare qualsiasi cosa. È innanzitutto una battaglia di giustizia sociale perché, oggi, la scelta di una vita ecologica è subordinata ai soldi che possiedi, ecco perché dico che vivere in natura è diventato un lusso».
Secondo Fabrizio, infatti, una vita ecocompatibile costa più di un affitto in città. Un esempio? «La mia ex compagna, con la bimba, non ha potuto prendere la residenza all’interno della mia casa, perché è troppo piccola. Devono esserci un tot di metri quadri a persona e anche la grandezza dei bagni è imposta: nell’ufficio tecnico mi trovo un burocrate feroce che misura i centimetri che mancano nella camera da letto». E il punto è proprio questo: «Io ho scelto di vivere con 500 euro al mese, a volte anche meno, perché penso che la vita ecologica sia un diritto e noi dobbiamo riappropriarci di quelli che sono i nostri diritti naturali sanciti nella Dichiarazione dei diritti dei contadini del 2018».

Una legge per le comunità intenzionali

E, secondo Fabrizio, è arrivato il momento di affrontare il problema, proprio ora che, anche a causa della pandemia, le attenzioni alle realtà alternative come gli ecovillaggi sono sempre più alte. «Sono più di dieci anni che la proposta di legge sulle comunità intenzionali e le tre proposte di legge sull’agricoltura contadina non passano: ciò significa che ci sono migliaia di persone che restano senza diritti» sottolinea.
Ma qualcosa, almeno sulla legge per le comunità intenzionali, si sta muovendo. «È stata presentata nell’ottobre 2020 e a gennaio è stata assegnata alla Commissione Affari costituzionali. Siamo all’inizio dell’iter parlamentare», racconta a Terra Nuova Federico Palla, consigliere della Rete Italiana Villaggi Ecologici e membro di Lumen. «Si tratta di una legge» racconta «che riconosce formalmente l’esperienza delle comunità intenzionali, e cioè persone che scelgono di vivere insieme condividendo degli spazi e che hanno un progetto comune che si basa su alcuni valori citati dalla legge stessa, come solidarietà, ecologia e condivisione». Nella pratica, questo si tradurrebbe innanzitutto in una semplificazione. Seguendo l’esempio di Lumen, negli anni le persone che hanno dato vita a queste realtà hanno dovuto costituire un’associazione di promozione sociale per le attività di volontariato, una cooperativa di lavoro per le attività commerciali, una cooperativa di abitazione per la gestione degli immobili, e un’associazione semplice per gestire tutto ciò che resta. Se la legge fosse approvata, basterebbe un solo soggetto giuridico. Non solo, perché la legge affronta anche altri aspetti, come ad esempio la possibilità di riconoscere alle persone che convivono intenzionalmente i diritti e i doveri di una famiglia, andando a toccare anche la questione dell’eredità. «Se c’è una persona che non ha nessun erede, alla sua morte andrà tutto allo Stato. Noi, rispettando gli asset ereditari, chiediamo la possibilità che l’eredità possa essere lasciata alla comunità».
Altro aspetto è la possibilità che vengano affidati ai cittadini i beni comuni, siano essi un parco naturale o ad esempio un’abitazione. «Ciò permetterebbe di sfruttare le migliaia di immobili comunali e regionali disabitati, che potrebbero essere affidati, ad esempio, in comodato d’uso gratuito a persone che ci vanno a vivere e a fare attività di utilità sociale, impegnandosi a ristrutturarli, con agevolazioni sul cambio di destinazione d’uso»1.
Quindi non si tratta solo di una legge che offrirebbe un nuovo inquadramento alle comunità intenzionali, ma darebbe una mano anche a chi, come Fabrizio, insieme a centinaia di altre persone sparse per l’Italia, vuole prendersi cura di un bene pubblico aiutando la comunità, senza rimanere impigliato nelle strette maglie della burocrazia.
Note
1. Al seguente link è possibile firmare per sostenere la legge: https://buonacausa.org/cause/comunitaintenzionali
________________________________________________________________________________________________________________

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2021

Visita www.terranuovalibri.it lo shop online di Terra Nuova

Leggi anche

Per eseguire una ricerca inserire almeno 3 caratteri

Il tuo account

Se sei abbonato/a alla rivista Terra Nuova, effettua il log-in con le credenziali del tuo account su www.terranuovalibri.it per accedere ai tuoi contenuti riservati.

Se vuoi creare un account gratuito o sottoscrivere un abbonamento, vai su www.terranuovalibri.it.
Subito per te offerte e vantaggi esclusivi per il tuo sostegno all'informazione indipendente!