Può la tecnologia essere morale ed essere utilizzata per l’evoluzione dell’uomo?
Ma è proprio inevitabile che le corporation o le agenzie di cui esse si servono si comportino da manipolatori e spioni senza scrupoli? Esiste un modo di costruire, anche sul web, una relazione azienda-cliente che sia sana?
«Sì, esiste un modo di lavorare governando in modo etico gli strumenti a disposizione senza esserne divorati, da una parte e dall’altra» dice Stefano Notturno, socio, cofondatore e amministratore di un’azienda del trevigiano che si occupa di fidelizzazione del cliente e di digital marketing utilizzando il web, l’e-commerce e altro. «Oggi purtroppo domina la dimensione economica e del profitto e pochi dedicano tempo per soffermarsi a pensare se questa loro “visione” contribuisce a un bene reale oppure no, se si connota come etica oppure no».
«Quando decisi di fondare la mia società nel 2005, non avevo un’immagine nitida di quale sarebbe stato il suo e il mio percorso, ma di una cosa avevo chiarezza: sarebbe stato un progetto morale, avrei definito e considerato le persone in molti modi ma non utenti, come invece spesso accade. E da lì ho costruito il resto. Mi occupo di marketing per vivere e mi cimento, insieme ai miei collaboratori, in una particolare nicchia che chiamiamo loyalty, per aiutare le aziende a rendere i loro clienti più fedeli. Oggi molti di noi, quando sono in procinto di operare un acquisto, attuano comportamenti che in molti casi prevedono l’accesso alle nuove tecnologie, come per esempio la lettura delle recensioni per la scelta di un ristorante, le informazioni su un capo d’abbigliamento e così via. Spesso, inoltre, questi processi decisionali sono latenti in noi e attendono solo che qualcuno stimoli correttamente il nostro desiderio di acquisto. La domanda ora potrebbe essere: quanto è morale stimolare il desiderio di acquisto in un cliente? Ma se conveniamo che un’impresa nasce per generare profitto, come possiamo chiederle di limitare questa sua necessità per essere morale?
Semplice, non lo possiamo fare, ma ciò che possiamo fare è aiutarla a essere sincera con i clienti, aiutarla a creare un piano di dialogo orizzontale nel quale raccogliere i dati diventi un comportamento trasparente e virtuoso, sia nella quantità che nell’uso che ne verrà fatto».
Il contratto tacito
«Possiamo affermare che condividere i nostri dati con un’azienda non sia sbagliato se ciò che ci verrà chiesto sarà commisurato a ciò che otterremo in cambio?» si chiede ancora Notturno. «Affermare d’essere di sesso maschile per evitare di ricevere consigli d’abbigliamento scorretti, non possiamo certo dire che sia sbagliato, così come dovremmo essere nella libertà di rinunciare a ricevere consigli se non si tratta di un’informazione necessaria al servizio a cui vogliamo accedere. Ecco quindi che stilare una sorta di contratto tra cliente e azienda nel quale stabilire con trasparenza non solo quali dati saranno richiesti e l’uso che ne verrà fatto, ma anche a quale tipologia di vantaggi sarà possibile accedere grazie a essi, a mio avviso significa aiutare le aziende a essere morali.
La tecnologia, così come la conosciamo, di base è stupida, è un insieme di zeri e di uno messi in fila, che tecnicamente viene chiamato codice binario. Ciò che la tecnologia non può fare da sola è evolversi, per farlo ha bisogno dell’uomo, delle sue visioni e dei capitali che lui deciderà di investire e che la tecnologia si impegnerà a moltiplicare. Un’immagine simile a questa la potrebbe suscitare il lavoro svolto dagli agricoltori più virtuosi che guardano alla terra non come qualcosa da sfruttare ma come a un essere vivente di cui prendersi cura commerciandone poi i frutti: anche la terra, così come la tecnologia, senza il lavoro dell’uomo non darebbe i propri frutti».
Profitto e bene comune
«Ho provocatoriamente affiancato la tecnologia all’agricoltura in un’analogia che ritengo significativa: entrambe possono generare un profitto, ed entrambe a mio avviso possono essere nel giusto quando questo profitto viene reinvestito per un bene comune» continua Notturno. «Ma, ahimè, oggi osserviamo che questo non sempre accade, tanto per l’una quanto per l’altra attività. Tutto ciò che è materiale tende a prendere il sopravvento, facendo perdere ad alcune persone la moralità e disperdendo così i talenti ricevuti.
Se, come penso, la tecnologia ha bisogno dell’umanità per evolversi, credo appartenga all’umanità il compito di aiutare la tecnologia a essere morale. Dobbiamo essere vigili quando la maneggiamo, dobbiamo delineare un perimetro entro il quale lasciarla entrare senza che essa possa dilagare in noi, poiché altrimenti utilizzerà tutto quanto solo ai propri esclusivi fini e non invece per il bene e l’evoluzione dell’uomo».
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Brano tratto dall’articolo
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