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A scuola di felicità e decrescita

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Le parole e l’esempio di Valentino Giacomin, fondatore della scuola Alice Project, si intrecciano con quelle di altri pensatori (Terzani, Illich, Latouche) e delineano un progetto educativo che pone al centro la conoscenza di sé e l’amore verso ogni creatura vivente e l’ambiente che ci circonda. È questa esperienza che Gloria Germani, filosofa e scrittrice, racconta nel suo libro “A scuola di felicità e decrescita. Alice Project” (Terra Nuova Edizioni).
Gloria Germani si è dedicata soprattutto al dialogo tra Oriente e Occidente «per costruire quella rivoluzione culturale che ci permetterà di fronteggiare le tante crisi che stiamo vivendo» spiega lei stessa. E’ attiva nel movimento per la localizzazione e la decrescita, oltre ad essere editrice della collana di film-documentari Satya.doc.
È stata lei a raccontare nel libro “A scuola di felicità e decrescita. Alice Project” (Terra Nuova Edizioni) l’esperienza di un maestro italiano, Valentino Giacomin, che si è trasferito in India e là ha fondato e messo in pratica un nuovo modello di scuola. 
In che cosa consiste l’esperienza di Giacomin in India? 
«Forse la pedagogia di  Giacomin negli anni 90 era troppo  all’avanguardia per essere messa in pratica in Italia. Oggi le cose sono invece mature.  In pratica il Progetto Alice ribalta l’assunto di base della nostra educazione moderna.  Mentre  l’educazione tradizionale insegna le cose del mondo come se fossero esterne all’io che studia, il Progetto Alice porta gli studenti alla fonte, all’origine del loro sapere, del loro conoscere: la mente, in cui tutto il sapere, tutte le emozioni, tutti i pensieri vengono espressi (come il film su uno schermo). Mentre la scuola tradizionale e anche quella innovativa, a quanto pare, si fermano alle immagini proiettate sullo schermo, Giacomin va oltre e invita gli studenti ad “osservare”, avere consapevolezza dello schermo, prendendo atto delle sue caratteristiche: essere vuoto, libero e indipendente da tutte le immagini che vengono sovraimposte. Questa e’ la visione di Alice: aiutare gli studenti a compiere un percorso che parte da fuori, arriva alle immagini, le oltrepassa per fermarsi al… vuoto dello schermo e restare lì per prendere forza, energia, sicurezza per poi tornare indietro, a ritroso, nella realtà convenzionale».
Da dove nasce l’idea di raccontare in un libro l’esperienza del Progetto Alice? 
«Ho conosciuto  personalmente  Giacomin  in due viaggi  in India nel 2007 e 2009 e attraverso  una fitta corrispondenza via mail. Siccome  lui aveva apprezzato un mio libro precedente (che indubbiamente condivideva molte della sue visioni del mondo)  e  data la profonda stima che nutrivo e nutro  per il suo infaticabile operato, gli avevo promesso che prima o poi avrei scritto un libro su di lui e la sua scuola. E così è stato».
Quanto bisogno c’è oggi di una scuola che dia risposte diverse e in modi diversi ai bambini?
«Moltissimo. Come accenno nel primo capitolo del libro, i ragazzi soffrono  oggi moltissimo, soprattutto perché nonostante tutte le nozioni che ricevono dal  sistema scolastico,  non riescono a scoprire il senso del loro essere al mondo. Si tratta di un malessere di fondo, un malessere metafisico.  Il progetto Alice  riesce a ridare un senso alla vita e anche gli strumenti per accedere al senso e per conquistare una felicità che non traballa al primo soffiare del vento». 
Cosa si può ricavare di spendibile qui e ora dall’esperienza di Giacomin?
«L’esperienza di Giacomin  ci conferma che una buona idea,  un’idea  realmente autentica e lungimirante,  si trasforma  sempre in realtà. Inoltre ci insegna che la pratica della meditazione e della presenza mentale hanno ottimi effetti nell’attività scolastica e portano ad ottimi risultati – ma  al tempo stesso ci avverte  che queste pratiche  per essere pienamente  efficaci devono  essere intraprese nella coscienza che la vera realtà è quella della mente.  La credenza nella realtà della materia,  nell’aspetto  materiale e economico del mondo va pertanto abbandonato». 

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