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A Roma spopolano gli orti urbani

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È boom di orti urbani nella capitale. Tutti partiti da iniziative dal basso, spesso da aree abbandonate e recuperate da cittadini e associazioni. L’associazione Zappata Romana, che censisce orti e giardini comuni, ha contato circa 200 spazi verdi condivisi, tra giardini, orti e azioni di giardinaggio collettivo.
“WhatZappa foundation”, “St’Orto”, “Orto in condotta”, “Ortocircuito”, “InsOrto al Pigneto” sono solo alcuni degli spazi verdi che si sono diffusi a macchia di leopardo su tutto il territorio, tanto che il Campidoglio ha deciso di creare un ufficio orti dedicato, per gestire le pratiche dei terreni coltivati dai cittadini. L’organizzazione dell’ufficio partirà da settembre, dopo che lo scorso 17 luglio è stata approvata una delibera per disciplinare i tanti terreni coltivati e assegnarne di nuovi a chi ne farà richiesta, su avviso pubblico.
Con il regolamento, si fa divieto esplicito di utilizzare sementi ogm e si premia l’agricoltura a basso impatto ambientale: avrà la priorità nell’assegnazione dei lotti chi vive in prossimità, del terreno, per promuovere una «produzione a chilometro zero». E, promette il Comune, nessuna forma di lucro sulle attività svolte: i prodotti raccolti non potranno essere messi in commercio.
Uno degli orti più conosciuti, soprattutto tra i più piccoli, nasce all’ombra del Cupolone, in pieno centro storico, dove proprio nessuno si aspetterebbe. Si trova all’interno della Fattorietta, fattoria didattica che con l’associazione culturale Passeggiata del Gelsomino ha creato con alcuni studenti delle scuole primarie L’Orto bimbo, progetto in cui i bambini hanno imparato a piantare, prendersi cura e raccogliere ortaggi.
Chilometro zero anche per il concime, niente prodotti chimici, lotta agli sprechi e utilizzo delle tecniche di rotazione e di agricoltura biodinamica sono le linee guida che i volontari insegnano a quelli che saranno gli adulti di domani. Non solo: la struttura ha in atto un progetto con associazioni che lavorano con pazienti malati psichiatrici e che utilizzano l’ortoterapia. Disciplina che punta a una riduzione dell’uso dei farmaci, grazie al lavoro sotto il coordinamento di terapeuti specializzati.
Gli effetti benefici della terapia si sperimentano negli Stati Uniti già dagli anni ’60. In Italia è agli albori, ma si sta espandendo. «Ho seguito casi di ragazzi schizofrenici che facevano due, tre accessi all’anno in ospedale a causa delle crisi. Lavorando con noi in un progetto di agricoltura sociale, in 9 mesi non hanno avuto nessun ricovero: nessuna ricaduta in quasi un anno», è la testimonianza di Paolo Rappa, della cooperativa Spazi Immensi, che nasce all’interno di una comunità di pazienti psichiatici.
«Lavorando in un contesto protetto, con persone selezionate – spiega l’operatore – tra soggetti svantaggiati scatta una condizione di mutuo aiuto, di condivisione del percorso. Il lavoro diventa la terapia. Ma soprattutto il lavoro li fa stancare. Per cui lavorando questi ragazzi la sera dormono perché sono stanchi, come tutti. Se si tengono in casa senza far niente per loro salta l’equilibrio giorno/notte».
«La natura è maestra e ci dà segnali e messaggi che noi, comuni mortali, non riusciamo a percepire», aggiunge. «Questi ragazzi all’interno della filiera si sentono parte integrante, hanno un ruolo da svolgere. In un laboratorio diverso, si sentono delle marionette, perché spesso i lavori di laboratori più tradizionali sono ripetitivi e dopo un anno i pazienti abbandonano. In questi laboratori a contatto con la natura – conclude l’operatore – i ragazzi si innamorano, non vogliono tornare a casa, perché si sentono parte del percorso».

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