Si parlerà di agroecologia e dell’importanza di questo nuovo modello di progettazione, gestione e monitoraggio dei sistemi agroalimentari al convegno che si terrà il 30 e 31 marzo e 1 aprile a Roma dal titolo “Agroecologia per la rigenerazione dei sistemi agro-alimentari nell’ambito delle strategie dell’Unione Europea“. Terra Nuova è mediapartner dell’evento.
Si parlerà di agroecologia e dell’importanza di questo nuovo modello di progettazione, gestione e monitoraggio dei sistemi agroalimentari al convegno che si terrà il 30 e 31 marzo e 1 aprile a Roma dal titolo “Agroecologia per la rigenerazione dei sistemi agro-alimentari nell’ambito delle strategie dell’Unione Europea”. Terra Nuova è mediapartner dell’evento.
L’appuntamento è presso la Sala delle Bandiere, via IV Novembre 149 a Roma.
Ma quanto è importante e necessario adottare un’ottica agroecologica in fatto di agricoltura e alimentazione? Ne parliamo con il professor Stefano Bocchi, presidente di Aida, Associazione Italiana di Agroecologia.
Prof. Bocchi, si parla ormai spesso di agroecologia affermando che sia la vera chiave di volta (e di svolta) per una reale transizione ecologica dell’agricoltura. Cosa si intende con il termine agroecologia?
«Con il termine Agroecologia si intende un nuovo modello di progettazione, gestione e monitoraggio dei sistemi agroalimentari, del tutto diverso da quello attuale che è stato ispirato dalla cosiddetta rivoluzione del novecento. Gli agroecologi Francis e Wezel definiscono l’agroecologia come lo “studio integrato dell’ecologia dell’intero sistema agroalimentare”, includendo le dimensioni ecologica, economica e sociale. L’agroecologia non separa i principi e le pratiche di coloro che sono coinvolti nel sistema agro-alimentare, ma li integra, creando un campo d’azione comune dell’innovazione scientifica, dei movimenti della società e degli ambiti istituzionali. E’ una nuova aria da respirare».
Quale può e/o dovrebbe essere un percorso efficace e rapido per convertire le pratiche agricole dannose in pratiche virtuose? E quali le resistenze?
«L’agroecologia non propone all’azienda agricola e al sistema agroalimentare soluzioni preconfezionate e standardizzate tecnologicamente: l’azienda agricola, infatti, viene vista più simile ad un organismo vivente che a un’industria. L’azienda agricola dialoga con il territorio ove essa è inserita per trovare soluzioni coerenti e adeguate ai caratteri territoriali. L’agroecologo Gliessmann propone un percorso di conversione composto da cinque gradini. I primi tre gradini del cambiamento prevedono un generale aumento dell’efficienza d’uso dei mezzi tecnici utilizzati; al secondo gradino, l’azienda innova sostituendo una parte importante della propria struttura per rispondere a esigenze/possibilità di aumento della circolarità e regolazione delle proprie attività. Al terzo gradino, l’azienda riprogetta l’intero agroecosistema sulla base di principi ecologici. Potenzia significativamente l’agrobiodiversità, individua e sviluppa sinergie fra diversi comparti produttivi interni. La più profonda conversione avviene ai livelli 4 e 5, quelli di riconnessione fra agricoltori e cittadini: l’azienda multifunzionale progetta, sperimenta, potenzia, evolve reti alternative agroalimentari alla scala territoriale. Ciò rappresenta una vera e propria innovazione di sistema alla scala più ampia. L’azienda forma aggregazioni (biodistretti, reti di impresa, cooperative ecc.) e con gli altri attori sviluppa conoscenze (co-creation of knowledge, mutual learning, ricerca partecipata), rivalorizza le tradizioni, propone forme di bioeconomia circolare prima inesistenti sul territorio. Questa innovazione agroecologica di sistema tocca le istituzioni, da quelle locali a quelle regionali, statali, europee. Il processo di riscoperta e condivisione di valori etici è funzionale a quello che possiamo definire un quadro di governance responsabile democratica, funzionale a sviluppare concetti complessi come la Global Health, la mitigazione del cambiamento climatico, la rigenerazione degli ecosistemi, nuovi mercati del lavoro, ridistribuzione delle ricchezze. Le resistenze? Sono annidate negli interessi prevalenti che ancora esistono all’interno delle filiere alimentari, nei mercati internazionali delle commodity agricole, negli assetti politici di molte organizzazioni. E’ anche un humus culturale che ancora si alimenta dei principi che hanno originato e diffuso l’agricoltura industriale».
A cosa si andrebbe incontro se non si dovesse fare il passo convinto verso una conversione agroecologica?
«La conversione agroecologica indica l’unica strada efficace per affrontare le emergenze del nostro secolo: emergenza climatica, ambientale, socio-economica. Continuando a superare i limiti del Pianeta, continuando ad ampliare le disparità economiche e sociali, continuando a ignorare l’esigenza di rigenerare gli ecosistemi si va incontro a un progressivo e generale degrado delle nostre condizioni di vita sul nostro pianeta».
Spesso multinazionali e persino enti e/o istituzioni che parlano di agroecologia vengono tacciate di greenwashing. Quanta parte di greenwashing c’è oggi su questo fronte e chi veramente vuole cambiare paradigma?
«I sospetti di greenwashing nascono quando multinazionali, agenzie, imprese varie aggiungono la parola sostenibilità senza cambiare i principi e le pratiche sui quali si sviluppano il loro guadagni. Dopo 8 anni dalla pubblicazione di Agenda 2030, si parla ancora di sviluppo sostenibile in modo generico e in molti casi queste imprese non rendono conto in modo quantitativo, integrato e ricorsivo – con la redazione annuale del cosiddetto bilancio interno di sostenibilità – il loro reale percorso virtuoso».
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