Antonio De Falco: «Le meraviglie dell’orto sinergico»
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Antonio De Falco pratica l’agricoltura sinergica, con le sue regole e geometrie, dal 1993 ed è uno dei referenti della scuola intitolata a Emilia Hazelip che in Italia porta avanti queste conoscenze. «Vi spiego perché questo approccio può essere vincente».
Antonio De Falco pratica l’agricoltura sinergica, con le sue regole e geometrie, dal 1993 ed è uno dei referenti della
scuola intitolata a Emilia Hazelip che in Italia porta avanti queste conoscenze.
De Falco è anche CO-autore dell’utilissimo manuale
“Agricoltura sinergica. Le origini, l’esperienza, la pratica”, best-seller di lunghissimo corso che si è rivelato strumento formidabile per chi vuole avvicinarsi a queste tecniche. Insieme a lui, alla stesura del manuale hanno collaborato la stessa Emilia Hazelip (prima della sua scomparsa) e altri esperti della Scuola di agricoltura sinergica italiana.
Antonio, quanto ha preso piede negli ultimi anni l’approccio sinergico all’agricoltura?
«Un dato è senza dubbio il cambiamento che sta avvenendo in generale nell’approccio al suolo e che riguarda i filari di viti inerbiti, le coltivazione su sodo, il tenere il suolo fermo, l’uso della pacciamatura che si sta diffondendo, la pratica a livello di agricoltura familiare di non rivoltare il suolo, l’attenzione a non compattare il suolo che si coltiva, le consociazioni, l’inserimento di leguminose in ogni coltivazione, l’incentivazione della biodiversità. Alcuni principi e pratiche che l’agricoltura sinergica porta avanti da anni sono entrati nel linguaggio comune diffondendosi in maniera estesa. Stimiamo che dalla nascita della
Scuola Emilia Hazelip siano stati promossi e facilitati circa 350 corsi che hanno coinvolto circa 7000 persone, senza contare conferenze, interviste, filmati, trasmissioni, pubblicazioni e laboratori. Sono numerosissime le esperienze di orto sinergico didattico nelle scuole d’Italia. Il numero di orti sinergici che sono stati realizzati su tutto il territorio nazionale, può raggiungere diverse migliaia. E la diffusione non è avvenuta solo attraverso la Scuola, ma anche in modo diretto e spontaneo da parte di tanti che sono entrati in contatto con i temi e i metodi dell’agricoltura sinergica. Pensiamo infine alla diffusione negli ultimi anni del movimento dell’agroecologia a livelli anche più ufficiali».
A che dimensioni si adatta l’agricoltura sinergica e quali sono finalità e risultati?
«La dimensione dipende dalle capacità e dall’organizzazione di chi conduce una coltivazione in questo modo. Per lo più al momento è diffusa nella dimensione di orto familiare o di comunità, ma ci sono aziende agricole che hanno adottato il metodo. E si riesce a produrre tanto cibo di buona qualità in poco spazio, a promuovere l’autofertilità del suolo, a vivere meglio e in sinergia con la natura, gli umani compresi. Serve per l’ortoterapia, per l’autoterapia ovvero avere come terapeuta la Natura, serve a migliorare e completare l’educazione scolastica, alla salvaguardia e all’incremento della biodiversità e al recupero delle varietà antiche e locali. Inoltre la pratica dell’A.S. ha anche il senso della ricerca di una resilienza rispetto ai cambiamenti climatici, all’erosione dei suoli, alla perdita di fertilità e alla sempre maggiore difficoltà a reperire cibo buono, sano, ricco di sostanze di cui abbiamo bisogno per stare bene e che non abbia percorso innumerevoli passaggi e viaggi per arrivare a noi».
Ci sono difficoltà o resistenza alla sua diffusione?
«La logica industriale focalizzata sui profitti e sulle PAC che dominano l’agricoltura in Italia, rendono difficile l’accesso a terreni agricoli potenzialmente produttivi per la conduzione familiare su piccola scala, portando spesso a sperimentare su terreni poco adatti a essere un orto. Il cattivo stato generale dei suoli dovuto a pratiche agricole non sostenibili, inquinanti e predatorie che hanno impoverito e a volte distrutto la vita nel suolo è una sfida che accettiamo ma che porta impegno e richiede tempo per vedere risultati. C’è inoltre il fraintendimento che quella sinergica sia un’agricoltura del “non fare”, che porta ad accostarvisi senza competenza e cognizione di causa, per poi concludere che “non funziona”. Per non parlare del falso mito che nell’agricoltura sinergica “non si produce”, dovuto al fatto che nel “lasciar fare alla natura” si teme di perdere il controllo. Al contrario è stato diffusamente sperimentato e documentato che a parità di suolo l’agricoltura sinergica supera per produzione e qualità molte altre pratiche, sicuramente le convenzionali. Senza contare un miglioramento continuo del suolo che permette di procedere in evoluzione senza dover apportare niente da fuori. Ci sono poi resistenze a uscire dai canoni “rivoluzione verde, macchine, finanziamenti, aiuti” e persiste la considerazione convenzionale che il suolo sia un substrato anziché un organismo vivente».
Esiste una rete di sostegno in Italia per chi vuole rivolgersi a questo tipo di approccio e se si, come agisce?
Antonio De Falco
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«Esistono una Scuola, un sito, una pagina facebook e referenti territoriali evidenziati nel sito stesso; inoltre esistono reti spontanee di agricoltura sinergica. Nel 2018 in Piemonte è stato realizzato un Festival a cui hanno partecipato oltre 50 coltivatori sinergici della regione e che si è concluso con la creazione di quattro gruppi di studio: La fertilità e la vita nel suolo – La biodiversità – L’orto che cura – Le economie. Inoltre si è creato un organismo di mutuo aiuto. Tutto è fatto con l’entusiasmo di chi si avvicina e di chi la vive da anni. In uno spirito di sinergia così come nel mondo delle piante che coltiviamo».
Cosa si può dire sulle questioni spesso poste che riguardano rese, qualità del suolo e delle coltivazioni?
«A parità di suolo coltivato un orto sinergico ben compreso e ben seguito ha una resa molto alta. Nell’agricoltura convenzionale si usa coltivare gli ortaggi di una stessa specie tutti insieme con notevole distanza nella fila e tra le file, lasciando intorno un terreno nudo, esposto agli agenti atmosferici. La pioggia lo comprime, il vento e il sole lo disidratano velocemente, lo cuociono e lo sterilizzano. Spesso si forma una crosta impermeabile che impedisce all’acqua e all’aria di penetrare nel suolo, con grande danno per le radici e per la vita batterica.
Nell’agricoltura sinergica il suolo coltivato è tutto usato, tutto riempito di piante, come in un suolo selvatico. Ai lati liliacee e insalate con piante aromatiche e fiori che svolgono la loro funzione di richiamo di insetti utili all’impollinazione e di difesa dai patogeni. Non c’è suolo nudo: sul piano dell’aiuola troviamo in basso piante tappezzanti (spinaci, valerianella, insalatine da taglio, ma anche ravanelli e carote…). Le leguminose non mancano mai (fave, fagioli, piselli, ceci, lenticchie, lupini…) e, insieme ai batteri, svolgono la loro funzione di fissare azoto e quindi di aiutare le altre piante a nutrirsi bene. Intorno e sfasate rispetto alle leguminose ci sono le piante alte (pomodoro, peperoni, melanzane più a sud e, nella parte più ombrosa dell’aiuola, cavoli, broccoli, bietole).
La quantità di radici nel suolo assicura:
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la conservazione e presenza di acqua,
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la presenza di microrganismi,
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l’instaurarsi dei cicli naturali e quindi la disponibilità di nutrienti e di difese immunitarie,
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la presenza di micorrize (micelio di fungo vivente) che vanno in simbiosi con radici e rizomi delle piante e, in cambio dei carboidrati offerti dalle stesse, forniscono acqua e sali minerali aumentando di molto la capacità di nutrirsi delle piante.
La quantità di raccolto per metro quadro è pertanto varia e alta.
La qualità del suolo è in miglioramento anno dopo anno se si coglie il vero senso del “non fare” e quindi:
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non rivoltando il terreno e non distruggendo quell’organizzazione perfetta tra radici, microrganismi, funghi, piccoli animali del sottosuolo, minerali, acqua;
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lasciando nel suolo le radici e le parti aeree in superficie, ovvero tutta la materia organica che il sistema ha prodotto traendo dal sole energia per trasformare i gas atmosferici in cibo;
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non comprimendolo, (ci sono passaggi per camminare e suolo da coltivare e tenere morbido e poroso);
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tenendo il suolo sempre coperto, (il più possibile con piante vive altrimenti con materia organica secca) si evitano i danni dell’esposizione agli agenti atmosferici;
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non apportando nulla di estraneo, sia chimico che organico.
La qualità del suolo migliora anno dopo anno e di conseguenza anche quella del raccolto: si ritorna a gustare il sapore degli ortaggi e il loro effetto sul nostro organismo è molto positivo. Oggi è sempre più chiaro come l’agricoltura basata sulla sostanza chimica tossica non sia più sostenibile».
Se doveste fare come associazione un appello al legislatore, cosa chiedereste?
«La salvaguardia e la protezione dell’humus come patrimonio dell’umanità, fonte di sopravvivenza dell’umanità stessa. Occorre poi disincentivare la pratica diffusissima di bruciare i residui organici a vantaggio del compostaggio, della pacciamatura e di ogni forma di recupero di materia organica. Essa è indispensabile per l’autofertilizzazione del suolo. Per mantenere la sua complessa, essenziale e perfetta catena alimentare che permette la vita, i raccolti e il miglioramento della sua fertilità nel tempo.
Sono da incentivare:
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La sensibilizzazione su tematiche agro ecologiche.
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La riforestazione, il rimboschimento e la creazione di oasi protette diffuse nel territorio per promuovere il riequilibrio dell’ecosistema.
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La nascita o la conversione di aziende agricole che facciano vendita diretta a km0.
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Il ripristino della biodiverità e la salvaguardia delle varietà antiche locali, liberalizzando lo scambio e la vendita tra contadini dei propri semi: preziosi, amati, curati, conservati.
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La gestione delle acque a livello territoriale per limitare al minimo i danni e lo spreco, migliorando la qualità e la quantità disponibile di questa risorsa.
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L’utilizzo di pratiche agricole che migliorano lo stato del suolo, tassando quelle che lo impoveriscono e lo avvelenano.
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Il riconoscimento della funzione sociale del contadino, indispensabile per una sana società.
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La promozione del diritto all’errore e alla felicità».