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Ari: «Accordi di libero scambio? No grazie. La soluzione è l’agricoltura contadina»

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L’Associazione Rurale Italiana, dopo essere stata ascoltata in audizione alla Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati sull’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada, sottolinea i danni che tale accordo porterà alle aziende agricole piccole e medie e documenta la propria posizione contraria.
Ari: «Accordi di libero scambio? No grazie. La soluzione è l’agricoltura contadina»
L’audizione in Commissione alla Camera di ARI è stata promossa nel contesto della discussione sulla proposta di legge C. 676 (UE-Canada) per la ratifica e l’esecuzione di Accordi tra l’Unione europea e il Canada nel quadro del CETA.
«Tra i punti centrali abbiamo evidenziato i danni profondi che CETA provoca alle aziende zootecniche di piccola e media scala sul territorio italiano; i rischi dell’ulteriore rafforzamento economico (e quindi decisionale) di un solo gruppo industriale sull’intero comparto lattiero caseario; la concorrenza sleale tra prodotti importati, in particolare cereali; l’impatto sui prodotti italiani ancora certificati “liberi da OGM”, che potranno essere contaminati da sementi e materiali da riproduzione importati dal Canada. Inoltre, prevedendo la possibile commercializzazione di carne da allevamento di cloni, abbiamo allertato sull’impatto negativo sui consumatori a cui viene tolta la possibilità di scegliere tra i diversi tipi di carne» spiegano da ARI.
«In conclusione, abbiamo sottolineato come la liberalizzazione dei mercato tra due Paesi che hanno forti strutture produttive agricole giova solo e soltanto a un numero ristretto di imprese agroalimentari che, in Italia, sono imprese multinazionali di cui una parte con sede legale e controllo azionario maggioritario fuori dell’Italia stessa – prosegue l’associazione – In linea con le contadini e i contadini del Coordinamento Europeo Via Campesina che anche lo scorso 26 Febbraio hanno manifestato a Bruxelles, ARI chiede una forte regolamentazione del mercato interno, la fine di tutti gli accordi di libero scambio, l’effettiva applicazione della direttiva sui prezzi sleali (UTP) e il divieto di vendere al di sotto dei costi di produzione per assicurare prezzi e redditi giusti a chi produce cibo. Il problema centrale delle politiche alimentari europee non sono le misure ambientali previste dal Patto Verde ma il fatto che esse siano scritte ad-hoc per le multinazionali dell’agro-industria e per un’economia di sfruttamento e competizione che danneggia i contadini tanto in Europa quanto nel Sud Globale. Abbiamo bisogno di un nuovo modello di commercio internazionale basato sui principi di sovranità alimentare e solidarietà internazionale e il movimento contadino giocherà un ruolo fondamentale nel costruirlo e rivendicare».
ARI ha portato le proprie posizioni anche in una riunione informale con i capigruppo della Commissione Agricoltura, per un confronto promosso dalla ONG FairWatch. 
«In questo momento caratterizzato da una forte crisi di rappresentanza in cui i produttori non si riconoscono più nelle proprie associazioni di categoria, prendere voce diretta all’interno delle istituzioni è più urgente che mai. Abbiamo bisogno di difendere questi pochi spazi rimasti e continuare a denunciare il potere delle multinazionali nei processi decisionali – scrive ancora l’associazione – Al contempo, riconosciamo l’importanza del dialogo con altri produttori e con altre parti della società civile, nonché delle sinergie che si possono e devono creare con altri movimenti che chiedono giustizia climatica, lavorativa e sociale. Noi produciamo cibo, non lo fabbrichiamo!».
Qui la nota informativa inviata da ARI ai Deputati
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