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Comunità a Supporto dell’Agricoltura, una nuova prospettiva di produzione e consumo

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Le CSA, Comunità a Supporto dell’Agricoltura, tessono relazioni strette tra chi produce e chi sceglie di acquistare i prodotti. Rappresentano un modello virtuoso, fortemente innovativo in questo ambito, anche se ancora poco conosciuto e diffuso. Ne parliamo con i referenti della Rete che i promotori di queste realtà hanno costituito in Italia. 
Comunità a Supporto dell’Agricoltura, una nuova prospettiva di produzione e consumo
Vengono chiamate CSA, acronimo che significa Comunità a Supporto dell’Agricoltura: si tratta di realtà che tessono relazioni strette tra chi produce e chi sceglie di acquistare i prodotti nell’ambito di un sostegno reciproco e di corresponsabilità, per condividere in sostanza rischi e benefici della produzione del cibo che si sceglie di far arrivare in tavola.
Sono però ancora poco conosciute e faticano ad affermarsi. Ne abbiamo parlato con la Rete Italiana delle CSA, nota come RICSA, che cerca di creare una forma di coordinamento e collegamento tra le esperienze che sorgono sui territori. La Rete Italiana si rifà alla definizione proposta dalla dichiarazione di Ostrava [1] del 2016: «Le comunità a sostegno dell’agricoltura (CSA) sono partenariati diretti basati sulle relazioni tra più persone e uno o più produttori agricoli, che condividono i rischi, le responsabilità e i benefici dell’agricoltura, sottoscrivendo un accordo vincolante a lungo termine». «Questa definizione l’abbiamo adottata – spiegano dalla Rete stessa -, anche all’interno della Carta dei Valori che abbiamo elaborato di recente, specificando in cosa si sostanzi».

«La Rete è nata come realtà di “auto-mutuo-aiuto” che, oltre a essere uno spazio di riflessione e un attore nella promozione del modello verso l´esterno, ha la finalità di sostenere le CSA sia nella fase di avvio, attraverso la condivisione di conoscenze ed esperienze, sia in seguito, nell’affrontare aspetti critici o specifici momenti di difficoltà – spiegano ancora dalla Rete – Un momento importante a questo scopo è quello degli incontri annuali. Durante questi incontri si discute di vari temi, come il coinvolgimento dei soci, la gestione economica, aspetti della produzione in campo. Tutti questi momenti sono per le Comunità un aiuto per consolidare la propria esperienza e sviluppare strategie comuni. Un ruolo al momento ancora poco sviluppato è quello di essere portavoce verso le istituzioni per ottenere un riconoscimento delle CSA che al momento manca, spesso anche a livello locale. Il modello è poco conosciuto e la maggioranza delle persone che vivono in un territorio in cui si trova una CSA non sanno nemmeno cosa sia. Su questo rimane ancora molto da fare».

Le CSA possono giocare un ruolo importante nel cambiare paradigma e prospettiva in agricoltura e anche sul fronte dei consumatori. «I patti che si stipulano tra consumatori e produttori potrebbe essere cruciale sono un passaggio importante per promuovere un’agricoltura basata su presupposti totalmente differenti, così come un diverso rapporto con il cibo – spiegano ancora i referenti della Rete – È evidente che dal punto di vista dei contadini, dei piccoli agricoltori, è cruciale avere uno sbocco sul mercato, che possa dare loro condizioni non solo di sopravvivenza ma anche di giusta valorizzazione del lavoro e dei prodotti realizzati. Questo però difficilmente può avvenire sul mercato convenzionale, dominato da grandi attori che perseguono unicamente una finalità di lucro, piegando a questa la gestione della fertilità del suolo, del rispetto della biodiversità, della relazione Uomo-Natura. Le CSA rappresentano un altro contesto, in cui i piccoli agricoltori possono condividere il riconoscimento del valore di un certo tipo di prodotto e di produzione. Le CSA, tuttavia, non sono solo questo, vanno ben al di là del mero accordo di acquisto e in questo manifestano tutto il loro potenziale trasformativo: nelle CSA i consumatori diventano ‘co-produttori’, si assumono una parte delle responsabilità e dei rischi della produzione e partecipano attivamente alla gestione aziendale (ad esempio alla programmazione delle colture e allo svolgimento delle operazioni). In questo modo l´agricoltura torna ad essere uno strumento per sostenere la vita delle persone, viene meno la logica della massimizzazione del profitto e attorno al cibo si riavvicinano attori (produttori e consumatori) che nel sistema economico dominante sono generalmente distanti, se non addirittura messi in contrapposizione nella gestione del valore economico».
La RICSA si è costituita nel 2018 e ha iniziato a darsi un’organizzazione, ha redatto una Carta dei Valori e sta lavorando a uno Statuto. «Questi ultimi due punti sono importanti perché, attraverso confronti e discussioni, abbiamo potuto stabilire quelli che consideriamo principi fondamentali per identificare le realtà che sono effettivamente Comunità di Supporto all´Agricoltura e quelle che, invece, pur rappresentando esperienze interessanti non corrispondono al modello della CSA – sottolineano ancora dalla Rete – Abbiamo anche partecipato ad alcuni progetti: alcuni ci hanno aiutato a conoscerci meglio e a dotarci di strumenti per facilitare la costituzione e gestione delle CSA, come il progetto NUMES [2]; altri ci hanno fatto comprendere le potenzialità legate all’assunzione di un ruolo di advocacy, come il progetto europeo SALSIFI [3]. Nel prossimo futuro abbiamo bisogno di lavorare ancora per consolidarci internamente e rafforzare l’organizzazione, senza smettere di promuovere il modello e sostenere le realtà aderenti».
Non mancano le difficoltà, che la Rete stessa analizza e affronta: «La principale difficoltà che vive la Rete è la sua mancanza di struttura formalizzata, di ruoli definiti e di risorse, prima di tutto umane. Trattandosi di una rete informale, costituita dalle CSA su base libera e volontaria, tutto si svolge seguendo la disponibilità e l´intuizione dei singoli. Tutto questo da una parte offre una grande immediatezza e una connessione immediata con le realtà aderenti, dall´altra rende i processi spesso lenti e talvolta discontinui. Pensando alle CSA, invece, le difficoltà sono molteplici e variano molto di caso in caso. Una criticità diffusa è quella della loro sostenibilità economica, dovuta alla necessità, seppur latente, di doversi comunque confrontare nello sforzo economico richiesto ai soci con i prezzi del mercato, che opera in modo totalmente iniquo verso chi lavora la terra, rendendo le CSA non competitive. Questo si traduce anche in una riduzione della possibilità di includere persone a basso reddito. Un’ulteriore difficoltà, chiaramente collegata alla prima, è quella di far comprendere alle persone la portata del cambiamento che promuoviamo, la necessità e l´urgenza di cambiare paradigma nella gestione del cibo. E’ indubbio che il modello che portiamo avanti richieda un approccio radicalmente diverso. A ciò si aggiungono le complicazioni che provengono dall’esterno, come nel caso delle difficoltà di relazione con amministrazioni locali che non capiscono il valore innovativo di queste esperienze. Tuttavia teniamo duro e andiamo avanti».
Foto: Caterina Suzzi  https://www.terrafoto.org
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