Chi sceglie di fare un’esperienza come Wwoofer sicuramente sarà alle prese con un altro modo di viaggiare: vitto e alloggio in fattorie biologiche immerse in un ambiente naturale in cambio di un po’ di collaborazione alle mansioni di tutti i giorni. Il tutto regolamentato da uno statuto e da un’assicurazione che serve a tutelare ambo le parti. Alvise Bragadin, 42 anni, di Casale sul Sile (Treviso) ha deciso di fare quest’esperienza e, contento, ha deciso di replicarla. Dai suoi viaggi ha riportato con sé amore per la Terra, fiducia negli altri e amore per se stesso.
Perché hai deciso di fare questa esperienza?
Era il 2007, avevo un buon lavoro, io e la mia famiglia eravamo in salute, buone amicizie alleggerivano i fine settimana, eppure domande frequenti accompagnavano le mie giornate e ne scandivano il tempo. Chi sono? Farò l’impiegato per tutta la vita? Cosa mi piacerebbe veramente fare? Decisi di prendermi una vacanza e trascorrerla nella natura, in solitudine, lontano dalle mie abitudini e anche dalle scelte indotte. Cercai in internet la soluzione e tra i vari siti scoprii l’esistenza, all’epoca trentennale, della WWOOF. Detto fatto! Era ciò di cui avevo estremo bisogno. Scelsi l’Europa, la Scozia e la zona a più a nord di essa. Scrissi direttamente alle fattorie spiegando loro ciò che sapevo fare, quasi niente, e perché volevo farlo. Poi arrivò la risposta di “Sawmill”, una fattoria a nord di Aberdeen e mi organizzai per la partenza.
In che zone sei stato?
Nel 2007 partii per la Scozia per raggiungere Aberdeen. Nel 2008 partii ancora per la Scozia per raggiungere Edimburgo e questa volta accettando di buon grado la compagnia di un mio caro amico, Sandro Zanatta. Nel 2009 scelsi la Francia, i Pirenei: la città vicina più grande era Carcassonne e ancora una volta Sandro mi seguì con lo stesso entusiasmo.
Ci racconti la tua avventura in Scozia…
“Il primo amore non si scorda mai”…Fu l’esperienza che mi permise di accettarmi, perdonarmi, accogliermi, conoscermi, di riappropriarmi dei miei ritmi biologici, di emozionarmi senza nasconderlo, di scollarmi da ciò che volevano che fossi ed essere ciò che sono veramente… Arrivai all’aeroporto di Aberdeen e con un po’ di timore misto a curiosità, oltrepassai le porte scorrevoli degli arrivi e trovai dall’altra parte un foglio A4 orizzontale con scritto il mio nome tutto attaccato e senza distinzione alcuna: alvisebragadin. Dietro il foglio un umile orgoglioso scozzese di 70 anni con due guance rosse come il maglione che indossava senza camicia e un sorriso accogliente che mi ha fatto rilasciare il freno a mano che avevo avuto tirato fino a quel momento. Andai verso di lui trascinando la valigia contenente un paio di stivali di gomma, impermeabile, piumino leggero e pochi altri indumenti ancora. Strinsi la mano di Alexander Allison per gli amici Lex. In auto mi confermò quello che mi aveva già scritto per mail: aiutarlo nel grande orto biologico, soprattutto raccogliendo le patate che gli servivano anche come merce di scambio con alcune fattorie dei dintorni e accudire le trenta mucche Angus che pascolavano sui diciassette acri di sua proprietà. Arrivato in fattoria, ad accogliermi c’era Mary Allison di 75 anni. Mi prese sottobraccio e mi fece fare il giro della casa orientandomi tra frigo, bollitore, mobiletto del tè, cucina a carbone, disimpegno dove lasciare gli stivali e la giacca da lavoro, salotto, camera da letto e bagno. Quel giorno iniziai subito i miei compiti. Nell’orto tra una pianta di patata e l’altra, mi sollevavo ad ascoltare il silenzio e a osservare i colori di quella parte della Scozia: il marrone della terra smossa dalla forca, il giallo del malto, il verde intenso dell’erba abituata a quelle latitudini, il cielo azzurro quando a tratti è sgombero dalle nuvole spinte dal Mar del Nord a pochi km da dov’ero. Alla mia destra le mucche nere, Angus, simili ad auto parcheggiate in doppia fila che ruminavano indisturbate.
Nel 2008la scelta ricadde di nuovo in Scozia con i suoi paesaggi meravigliosi e il suo popolo umile. Questa volta aggiustai il tiro e scelsi una fattoria meno isolata, vicina a una grande città come Edimburgo e collegata dai mezzi pubblici. Questa vacanza la condivisi con Sandro Zanatta, un caro amico coetaneo, compagno di teatro amatoriale. Dopo due ore di aereo e sei di treno arrivammo in una stazione di un piccolo paese, Ladybank. Dieci case, una chiesa con il suo cimitero di croci celtiche e un market gestito da indiani. A destinazione ci aspettava Adam appoggiato alla bicicletta. Dopo le rituali presentazioni ci dirigemmo a piedi alla fattoria. Dopo dieci minuti con i pantaloni tirati su fino al ginocchio, attraversando campi coltivati a malto e patate, arrivammo in quella che sarebbe stata per due settimane “casa nostra”. Una modesta dimora di legno al centro di qualche acro coltivato, a sua volta circondato da alcuni acri di bosco. Al suo interno vivevano tre persone: Louise di 36 anni, Adam di 30 e Ruby (Rubino) di 15 mesi. Persone molto semplici come stile di vita che appartengono a una comunità di vegetariani e vegani. La loro vita scorre nel silenzio più totale: né televisione né radio a disturbare quella pace, rispettosi verso loro stessi, la natura e l’ospite…proprio in quest’ordine. Le mansioni erano unicamente legate all’orto: non c’erano animali che aspettavano la strigliatura ma una elegante, stravagante gallina dal nome Peace and love ci seguiva nell’orto con la speranza che le si procacciasse qualche verme. Un animale che si sentiva sicuro al fianco dell’uomo. La giornata iniziava alle 7 di mattina con una colazione abbondante, chiacchierando con Luise, giocando con Ruby o suonando uno dei tanti strumenti musicali sparsi per la casa; prendevamo il bigliettino con le comande che Adam ci lasciava prima di sparire nel bosco e dopo colazione andavamo sui campi alle 9, per starci fino alle 13. Il nostro lavoro consisteva nel pulire da erbacce le varie coltivazioni: patate, cipolle, aglio, fagioli, spinaci, insalata, cavolfiori, cappucci, zucche, cetrioli, fagiolini verdi e raccogliere frutta per fare la marmellata. Noi mangiavamo quella dell’anno precedente spalmata su fette grosse di pane di segale che faceva Adam prima di andare a letto e che cucinava nel forno a legna. Nelle mattinate di pioggia spaccavamo la legna dentro il bosco riparati all’interno di un vecchio capanno; così facendo, abbiamo fatto scorta di quel combustibile utile per cucinare, riscaldare l’intera casa d’inverno e l’acqua piovana per lavarsi. Dopo pranzo, avevamo molto tempo libero, “lavoravamo” solamente 4 ore al giorno da lunedì a giovedì e una volta organizzati partivamo per fare i turisti. Si partiva in bicicletta alla volta della stazione dei treni per raggiungere Edimburgo, Glasgow, Perth, Dundee, Sant Andrews, Glenrothes, Carlisle e sconfinando in Inghilterra per visitare Liverpool, New Castle upon Tyne e sederci per qualche minuto sul Vallo di Adriano.
La tua esperienza in Francia?
Destinazione Ferrals-les-Montagnes: un piccolo borgo sui Pirenei vicino a Bezier, Francia del sud. Questa volta niente aerei, nessun bagaglio da controllare sulla bilancia domestica ma un’auto usata, una chitarra e due curiosi interessati alla stagione della vendemmia. Rosalind French, per noiLa Rosy, 68 anni di origine inglese, vedova da oltre dieci anni e con una grandissima forza di volontà era l’unica persona ad abitare la casa che ci ha accolti e guidati durante il periodo trascorso lì. A farle compagnia e a tenerla occupata: un cane pastore di razza, molto intelligente, un gatto bianchissimo molto affettuoso, due cavalli arabi, quattro pecore dalla testa rossa, specie che distingue quella zona dei Pirenei. Durante le due settimane trascorse in quell’Eden, abbiamo tagliato legna, tosato pecore, pulito da erbacce l’enorme orto, raccolto patate, decespugliato una parte di campo vicino al recinto dei due cavalli. Ma la giornata in assoluto più bella, più avvincente, è stata quella trascorsa tra i boschi a tagliare tre alberi morti che la forestale aveva assegnato alla Rosy per fare legna per l’inverno. Lì tra quegli alberi che raramente vedono essere umano, ci siamo sentiti veramente utili.
Cos’hai imparato da questi viaggi?
Dopo la prima settimana in Scozia, ho pianto. L’ansia “ulissidea” di spostarmi continuamente in cerca di pace, l’ossessione compulsiva di trovare le risposte alle domande esistenziali, le centinaia di paure che ti fanno desistere a lasciarti andare, si sono sciolte in quel pianto dove vi trovai perdono, accettazione, accoglienza e paziente ascolto di me stesso. Ho imparato a conoscere, capire la terra e come coltivarla; ho fatto tesoro di tutte quello che mi è stato insegnato con molta pazienza, sensibilità e voglia di tramandarla all’altro. Ovviamente è stato molto utile studiare, approfondire e apprezzare la lingua inglese e francese. Ricordo la frase che Lex mi disse all’aeroporto prima di ripartire: “Look if you like but you will have to leap”.
Hai qualche consiglio pratico da dare a chi vuole fare la stessa tua esperienza?
Per prima cosa capire dove si vuole andare e poi…partire. Lasciarsi andare, adattarsi alla situazione come fa l’acqua adattandosi al recipiente in cui si trova. E’ importante cercare di capire quanto ci si vuole impegnare veramente in questo tipo di vacanza-lavoro; se si vuole contribuire aiutando in orto oppure aiutando in stalla. Quest’ultima richiede forse un impegno maggiore se si considera che gli animali hanno orari e bisogni diversi. Ci tengo a dire che queste fattorie hanno stili di vita a basso impatto, un grande rispetto di tempi e ritmi della natura e che prima del tempo libero a disposizione, c’è un “lavoro” da svolgere che, ricordo, permette loro di vivere e in certi casi di autosostenersi. Detto ciò, la cosa migliore che può capitare èperdersi…
E’ grazie a questa esperienza che hai deciso di aprire un orto sociale?
Esatto, diciamo che è la continuazione di una strada che ho iniziato a percorrere a partire dal 2007. Il comune di Casale sul Sile con umiltà, spirito di aggregazione e lungimiranza (la coltivazione deve essere esclusivamente biologica), ha aperto un bando per accedere ai 42 orti sociali messi a disposizione. La mia domanda di partecipazione è stata accolta e a Maggio di quest’anno mi sono presentato presso il bordo dell’orto delimitato da un nastro bianco-rosso. Sono partito e dopo 3 giorni, all’imbrunire, sono rimasto ad ammirare con soddisfazione le decine di piantine.
Come vivi il tuo orto sociale?
Bellissima esperienza, uno scaccia pensieri, una sorta di meditazione. Quando sono lì piegato su me stesso a spaccare la crosta di terra con la zappetta o a sorprendermi a sorridere nel prendere atto che l’ortaggio spunta quando tu non ci sei, mi fa sentire bene. Per una strana alchimia il dedicare il mio tempo a quelle piante, a prendermi cura di loro, sento che in realtà sto imparando a prendermi cura di me stesso e dell’altro. La soddisfazione poi di raccogliere, lavare, mangiare ciò che la natura ti offre e ciò di cui ti sei preso cura è il coronamento di tanta pazienza e perseveranza.
Hai deciso di raccontarti in un blog e in serate per parlare della tua esperienza. Come mai?
L’idea nasce dopo una breve riflessione in seguito a una breve esperienza nei panni di tuttofare in una pizzeria da asporto. Il fine settimana intorno a me c’erano diversi giovani diciannovenni-ventenni con il diploma in mano e nessuna prospettiva che, come unico obbiettivo, avevano quello di spendere, tra sballi di diverso tipo, il ricavato della serata la sera stessa. Tra quei colorati e divertenti modi di esprimersi si sentiva tutto un mondo di disagio, di nichilismo: una sorta di bolla di sapone nella quale replicavano un eterno presente. Nessuna curiosità, nessuna fascinazione nemmeno per un Che Guevara o un Vasco Rossi o un De André. Così ho pensato che forse, raccontando le mie esperienze di “Vita di fattoria” avrei potuto incuriosire, affascinare qualcuno e magari anche vederlo partire per quell’esperienza, come lo è stato per me. Da qui poi l’idea di raccontarmi si è concretizzata trovando appoggio di alcune strutture pubbliche ma anche in un liceo scientifico durante i due giorni di autogestione.
Prossimo viaggio?
Da anni, senza fretta, cerco di programmare la stessa esperienza scegliendo come meta l’Olanda. Prima o poi succederà: non ho dubbi. Ci tengo a sottolineare che quell’esperienze furono ciò di cui avevo bisogno in quel momento delicato per partire per il grande viaggio che è la vita.
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