Sospeso al momento il “matrimonio” tra Monsanto e Sygenta, colossi del biotech e dell’agroindustria, ma la strada segnata è ormai quella. Quindi: controllo e monopolio delle risorse che danno cibo ai popoli e ne determinano la vita e la morte.
Monsanto, colosso americano del biotech e delle sementi, ha annunciato nei giorni scorsi
di aver rinunciato all’acquisto del gruppo svizzero
Sygenta (leader nel mondo nella vendita di pesticidi), almeno per il momento e a quanto si sa ufficialmente. Il matrimonio tra i due colossi della chimica e dell’agricoltura sfuma dopo che la società target svizzera ha fatto sapere di non ritenere adeguato il corrispettivo offerto pari a 47 miliardi di dollari. Ma il
Wall Street Journal ha già rivelato che ci sarebbero parecchi azionisti dentro Sygenta scontenti del rifiuto a vendere. Evidentemente la prospettiva di avere un colosso dagli enormi profitti e dalla posizione in assoluto dominante sul mercato mondiale alletta molti palati
Cosa succederebbe se andasse in porto questo matrimonio?
Sarebbe probabilmente un punto di non ritorno, peggiorerebbe una situazione già di per sè assai preoccupante. Il 95% dei semi oggi è in mano a cinque multinazionali, peraltro leader anche sul mercato dell’agrochimica, quindi della produzione di pesticidi ed erbicidi per uso agricolo. Cioè: monopolio delle sementi, controllo della produzione alimentare e dei prezzi, imposizione di un modello agricolo fondato sull’uso della chimica. Il rapporto del gruppo europeo Greens European Free Alliance del Parlamento europeo nel 2014 ha fornito il quadro della situazione e ha lanciato un appello alla UE: “Le regole vanno cambiate”. Secondo il rapporto (in allegato il pdf) questa concentrazione ha un impatto negativo sugli agricoltori, l’agro-biodiversità e la sicurezza alimentare. Il prezzo delle sementi è aumentato di circa il 30% in Europa dal 2000 al 2008. Il gruppo lancia un appello accorato all’Unione Europea, affinchè la politica sementiera vada finalmente nella direzione della differenziazione e della conservazione della biodiversità. La stessa Fao ha ammesso che le varietà di cereali coltivate si stanno uniformando con una perdita del 75% della biodiversità nel ventesimo secolo; secondo le stime se ne perderà un terzo delle attuali di qui al 2050. Se sui semi sarà sempre più assoluto il monopolio di pochi grandissimi gruppi che puntano su chimica e modificazioni genetiche, il mercato finirà per essere saturato solo di varietà sementiere standardizzate, trattate già alla base con prodotti chimici e che necessitano di altri prodotti chimici per la coltivazione e sempre più geneticamente modificate. Gli ogm spalancano infatti la porta ai brevetti sui viventi, vegetali e animali. Si diviene quindi proprietari della materia vivente a tutti gli effetti e la si vende al prezzo voluto. «Sono già numerosi gli esempi di piante e animali trasformati in cosiddette invenzioni dell’industria – spiega bene la Rete Semi Rurali (si veda il loro ultimo notiziario di maggio 2015 (in allegato il pdf) – Nella maggior parte dei casi questi brevetti riguardano tutta la filiera produttiva, dalla selezione di varietà e razze fino alla raccolta e alla produzione di cibo e mangimi. I brevetti coprono ogni genere di coltura alimentare: ortaggi come pomodori, broccoli, peperoni e lattuga ma anche soia, mais e grano. Possono anche riguardare solo le parti commestibili delle piante come i frutti e tutti i cibi trasformati come la birra o il pane». Non ce ne accorgiamo perchè non ce lo dicono ma è già così e sarà sempre peggio.
Tutto ciò consente ad un numero esiguo di società di assumere il controllo delle risorse che stanno alla base della produzione quotidiana di cibo. I brevetti favoriscono ancor più la concentrazione dei mercati, rendendo tutti, a partire da agricoltori e attori delle filiere di produzione degli alimenti, sempre più dipendenti da pochissime multinazionali. La concentrazione e il monopolio danno il potere a poche corporations di decidere cosa viene coltivato nei campi e a quale prezzo.
Ma c’è chi si mobilita per evitare che questo accada. Movimenti internazionali da tempo ormai organizzano reti di contadini che praticano un’agricoltura “resistente”, reti di scambio di semi anche antichi e di varietà non registrate per poter preservare la biodiversità. Basti pensare all’associazione Navdanya International, guidata da Vandana Shiva, che ha anche lanciato la campagna globale
Seed Freedom. In Italia esiste la
Rete Semi Rurali che si batte da anni per modificare la legge sementiera a tutela delle varietà antiche, tipiche, tradizionali e non in mano alle multinazionali che dettano legge. Purtroppo la nuova regolamentazione europea sulle sementi ha subìto una battuta d’arresto nel febbraio 2014 (si veda l’articolo allegato I semi della discordia): il testo è stato bocciato dalle commissioni ambiente e agricoltura del Parlamento europeo e si è riaperto il fronte di chi chiede a gran voce che si approdi a un sistema di norme non pensato esclusivamente per garantire gli interessi delle multinazionali sementiere. Terra Nuova ha pubblicato quest’anno anche un libro che è una sorta di pietra miliare su questo fronte: Genuino Clandestino, che racconta un movimento nato proprio per combattere il monopolio dell’agroindustria.
Il rischio è però che la custodia della biodiversità e la garanzia di sopravvivenza dell’agricoltura veramente contadina siano deputate soltanto a movimenti informali, mentre le istituzioni e i governi continuano ad avallare politiche che vanno in tutt’altra direzione.
E su questo bisogna riflettere, parecchio.