In 15 anni l’italia ha perso metà delle sue piccole aziende agricole
homepage h2
In 15 anni l’italia ha perso metà delle sue piccole aziende agricole: lo conferma un nuovo report di Greenpeace: «I sussidi europei favoriscono i grandi produttori». E a giorni esce per Terra Nuova edizioni “In difesa dei contadini” di Antonio Onorati, analisi lucida ed efficace di ciò che sta accadendo.
Gli agricoltori europei sono costretti a produrre sempre di più o a chiudere i battenti: lo attesta anche il report di Greenpeace “La crisi degli agricoltori italiani ed europei”. L’analisi evidenzia un divario sempre più ampio tra le aziende agricole in difficoltà, prevalentemente a conduzione familiare, e quelle più grandi che beneficiano della maggior parte dei sussidi e dei profitti generati dal comparto. Non fa eccezione l’Italia, dove in soli 15 anni il numero delle aziende agricole di piccola dimensione si è dimezzato, mentre quello delle grandi è raddoppiato.
E proprio in questi giorni è in uscita il libro “In difesa dei contadini” di Antonio Onorati, membro del Coordinamento europeo d Via Campesina e dell’Associazione Rurale Italiana. «L’agricoltura che non è industriale non è facile, ma c’è, esiste e i contadini che la praticano sono ancora tanti e vogliono far sentire la loro voce»: lo spiega proprio Onorati in questo libro, che ci fa capire:
- come le politiche agricole finiscano per favorire i grandi gruppi e le multinazionali, ma anche come sia possibile cambiare rotta
- come la pressione su brevetti e OGM rappresenti un enorme pericolo per la biodiversità e i piccoli coltivatori
- come ci sia da fare un grande lavoro per ripensare le rappresentanze agricole
- come sia sempre più necessaria e improcrastinabile una svolta agroecologica
«L’agricoltura contadina, e l’economia che le corrisponde, ha gli elementi necessari per garantire la produzione di cibo in armonia con la natura e non contro di essi – spiega Onorati – I contadini, seppur ostacolati, continuano a costruire e a rappresentare l’alternativa concreta alle lobby del cibo-merce».
«Tra il 2007 e il 2022 il nostro Paese ha perso il 37% delle sue aziende agricole, ma questa riduzione riguarda principalmente le aziende di piccola scala che sono diminuite del 51% – scrive Greenpeace – Queste ultime rimangono comunque la spina dorsale dell’agricoltura italiana, rappresentando il 65% delle aziende agricole sul territorio nazionale. Nello stesso periodo, il numero di grandi aziende, che pur rappresentando solo il 7% delle aziende agricole italiane ricevono quasi il 30% dei sussidi diretti della PAC, è aumentato del 57%, accrescendo la sua produzione del 70%. La produzione delle piccole aziende, di contro, è diminuita del 44%. Nel complesso, in Italia la somma delle unità lavorative per anno (ULA) in agricoltura ha registrato un calo del 34%. Di questi posti di lavoro persi, il 53% ha riguardato proprio le aziende di piccole dimensioni».
Osserva Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia: «Anziché puntare il dito contro le misure di protezione ambientali, che sono preziose alleate per un’agricoltura in salute, i governi nazionali e l’UE dovrebbero smettere di finanziare le mega aziende agricole intensive e sostenere gli agricoltori che lottano per restare a galla e vogliono contribuire al ripristino della natura».
«Ciò che sta mettendo le aziende agricole in crisi, come evidenziato da molti agricoltori anche durante le proteste, è il fatto che sussidi, regole e mercato sono tutti orientati a beneficio delle realtà più grandi. Le maggiori catene della grande distribuzione e le grandi aziende alimentari e di trasformazione possono imporre prezzi bassi agli agricoltori, spingendo i produttori più piccoli fuori dal mercato», dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. «Tutto ciò, mentre gli agricoltori si trovano ad affrontare gli effetti della crisi climatica. Incolpare le norme di tutela ambientale significa mentire in primis agli agricoltori che sono già allo stremo, continuando a foraggiare un sistema che funziona solo per una esigua percentuale di grandi attori del mercato».