Secondo la Lav le galline in Italia sono ancora maltrattate, malgrado esista una direttiva europea che limita l’allevamento in batteria. Firma la petizione 8 e il 9 marzo in piazza!
Sono fuorilegge, in Italia, gran parte delle uova di gallina prodotte dai nuovi impianti in funzione dal febbraio del 2006: nonostante la censura della Commissione Europea, nel nostro Paese sono sistematicamente violati gli standard di arricchimento delle gabbie delle galline (nido, lettiera, dispositivi per accorciare le unghie) e la densità d’allevamento, con gravi conseguenze per il benessere di questi animali. La denuncia è della LAV che sabato 8 e domenica 9 marzo sarà presente nelle piazze delle principali città d’Italia con centinaia di tavoli informativi, per invitare i cittadini a firmare la petizione rivolta al nuovo Governo affinché si impegni a confermare la data del 1° gennaio 2012 per la messa al bando delle gabbie di batteria per le galline ovaiole, secondo quanto stabilito dalla Direttiva UE 74/99 e dal Decreto Legislativo 267/03, ma ora incredibilmente rimessa in discussione. Questa mattina l’Associazione ha protestato davanti al Ministero della Salute, a Roma, rivolgendo un appello al Ministro Livia Turco affinché mantenga gli impegni assunti dall’Italia su questa materia nel 1999, ma che il sottosegretario alla Salute Gianpaolo Patta ha scelto invece di rinnegare chiedendo il rinvio della data del 2012, sebbene appena nove giorni prima – durante un incontro con la LAV – avesse espresso l’impegno a rispettare tale data. Tale rinvio rappresenta un regalo all’industria avicola che dal 1999 ad oggi, nonostante i tanti fondi pubblici percepiti, non ha fatto nulla per riconvertire le gabbie come imposto dalle norme. Migliaia di adesioni alla protesta della LAV stanno giungendo in queste ore via internet. “Il Governo non può fare marcia indietro rinnegando una posizione già assunta: comunichi alla Commissione UE di sostenere l’applicazione della Direttiva 74/1999 esprimendo parere contrario a qualsiasi posticipo del bando delle gabbie di batteria dopo il 2012 – dichiara Roberto Bennati, vicepresidente della LAV – Inoltre, faccia partire al più presto un Piano nazionale sui controlli, relativo all’applicazione degli standard previsti dalla Direttiva, al momento ampiamente disattese. In “gioco” c’è la vita di 50 milioni di galline, gran parte delle quali sottoposte a un sistema d’allevamento intensivo tra i più crudeli. Gli italiani, che ogni anno acquistano più di 12 miliardi di uova, hanno il diritto di vedere applicata questa normativa faticosamente conquistata, e il diritto a non acquistare uova di fatto fuorilegge. A loro chiediamo di venire ai nostri tavoli per firmare la petizione, di non acquistare uova con il codice “3” e di preferire le uova di galline allevate con sistemi alternativi alle gabbie (a terra, all’aperto o bio). Per orientarli a una scelta più consapevole, distribuiremo una Guida-pratica che spiega come sono etichettare le uova.” Attraverso le loro scelte d’acquisto, i consumatori possono sostenere la fine dell’allevamento delle galline nelle strette gabbie di batteria, dove lo spazio a disposizione di una gallina è ridotto ad appena 25 cm, e non supera i 35 cm (550 cm2) circa per le gabbie “arricchite”, impedendo movimenti e comportamenti naturali. “Due mesi fa la Commissione UE ha confermato l’importante scadenza del 2012 prevista dalla Direttiva per l’abolizione delle gabbie di batteria, proprio a causa dei gravi problemi di salute per le galline in questo tipo di allevamento – continua Roberto Bennati – La Commissione ha effettuato dettagliate analisi d’impatto scientifico ed economico al fine di valutare i problemi di benessere delle galline ovaiole e il costo della riconversione dalle gabbie di batteria ad altri sistemi, con risultati inequivocabili circa la sostenibilità di tale riconversione. L’indagine della Commissione UE Eurobarometro, ha evidenziato che il benessere delle galline ovaiole è stato ritenuto insufficiente dal 58% degli intervistati e il 57% dei cittadini dell’UE si dichiarano disposti a pagare di più per le uova provenienti da un sistema di produzione rispettoso del ben