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La rivoluzione dell’alveare

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Mauro Grasso, antropologo e apicoltore, ha rivoluzionato il modo con cui gestire un alveare, le api e la produzione del miele. Con la permapicoltura si introduce veramente un nuovo paradigma, che l’autore spiega nel suo libro “La rivoluzione dell’alveare” (Terra Nuova Edizioni)
Un nuovo approccio all’apicoltura, ecologico e rispettoso dell’alveare. È la permapicoltura che Mauro Grasso illustra magistralmente nel suo libro “La rivoluzione dell’alveare” (Terra Nuova Edizioni).
Grasso suggerisce di “mettere le mani nell’arnia” il meno possibile e lasciar fare alle api. Ispirandosi al metodo ideato da Oscar Perone, ideatore della permapicoltura, l’autore suggerisce una pratica apistica a basso impatto ambientale, basata su un nuovo modello di arnia in grado di soddisfare a pieno le esigenze etologiche dell’organismo alveare, in modo da offrire alle api le condizioni migliori per sviluppare strategie per sopravvivere ai nuovi parassiti e a un ambiente sempre più contaminato.
Lo abbiamo intervistato.

In cosa consiste il tuo approccio con le api? Cosa significa permapicoltura e in che cosa si differenzia dall’apicoltura tradizionale?
Il mio approccio con le api si basa sull’osservazione dell’intera biologia della specie, sviluppando una visione che sia la più reale possibile del rapporto uomo-organismo alveare. Le api devono a mio avviso essere considerate come un animale unico e non un insieme di individui; un super organismo che ha un proprio scheletro, un proprio apparato riproduttivo e un proprio sistema immunitario. L’allevamento delle api, oggi, si basa sul nostro sistema produttivo economico e ciò limita una visione a 360 gradi. A partire dagli anni 60 l’apicoltura si è sempre piu specializzata, fino ad arrivare a un livello che non è piu in grado di collocare la specie apis mellifera in un percorso evolutivo autonomo e indipendente. Oggi qualsiasi apicoltore sostiene che la vita delle api dipende dal suo allevatore e da una buona pratica apistica, altrimenti le api morirebbero. Posso tranquillamente sostenere che se l’essere umano avalla questa tesi, il genere apis mellifera è in via di estinzione. Se un essere vivente dipende da un altro essere vivente si può dichiarare in via di estinzione. Questa visione non è reale, è tipica di un’interpretazione omocentrica della cultura occidentale dove l’essere umano è il solo in grado di controllare e comprendere la natura. Le problematiche legate alle api non sono riconducibili solo ed esclusivamente alle patologie, mi riferisco a parassiti e predatori, ma soprattutto all’uso di sostanze tossiche in agricoltura e al tipo di allevamento che questi insetti sono costretti a subire. La permapicoltura basa le sue concezioni filosofiche e pratiche su quest’ultimo aspetto, ossia la modalità in cui il genere apis mellifera è costretta a vivere. Sono pienamente cosciente che ciò che espongo nel libro “La rivoluzione dell’alveare” può essere interpretato come un attacco spietato nei confronti dell’apicoltura convenzionale, ma vi assicuro che non è assolutamente così. Vi sono tantissimi apicoltori che mettono anima e cuore per le proprie api ed è per questo motivo che ritengo fondamentale sviluppare una visione critica dell apicoltura convenzionale, ed è a essi che mi rivolgo.
Nella mia esperienza da apicoltore, ritengo che sia arrivato il momento di scardinare un tabù che in apicoltura convenzionale è presente da molti anni; gli apicoltori sono utili e indispensabili per le api, quindi in virtù di un evidente declino della specie apis mellifera ogni apicoltore si sente sollevato da diverse pratiche ritenute indispensabili se non vitali. Ma purtroppo il fine ultimo di questo approccio per molti rimane la produzione. La permapicoltura  propone di emulare la natura seguendo le sue leggi, basate su principi ecologici e modelli organizzativi e tutte quelle caratteristiche che sono presenti in un ecosistema, e che oggi siamo soliti chiamare permacultura, ossia agricoltura permanente. Sulla base di questo concetto l’apicoltore argentino Oscar Perone ha coniato il termine Permapicoltura, creando un’arnia che rispettasse in pieno il ciclo naturale dell’organismo alveare. Per dirlo con parole piu semplici, un allevamento semi-selvatico in cui l’alveare può tranquillamente sviluppare in maniera autonoma il suo percorso evolutivo e attuare le sue capacità di resistenza non solo di fronte alla presenza di nuovi o vecchi predatori o parassiti ma anche ai drastici cambiamenti climatici che il nostro pianeta sta attraversando. Penso che ogni apicoltore (o meglio il genere umano) abbia il dovere di sostenere questo processo evolutivo creando appunto un evoluzione della specie e non una regressione che vede uno dei più grandi impollinatori del pianeta dipendente dalle pratiche dell apicoltura convenzionale. La permapicoltura propone una cooperazione con questo insetto, in fondo uomo e api sono legati da una profonda interazione.
Cosa ti ha spinto verso questa strada? Hai tentato di diffondere questo approccio? Se sì, hai incontrato resistenze?
La voglia di intraprendere questo percorso nasce inizialmente per puri motivi etici e ideologici. Successivamente sono stati  i fatti empirici a darmi la forza di continuare. Durante il mio percorso che è tuttora vivo e prende sempre piu forma, cio che mi ha spinto ad abbracciare la permapicoltura non era solo produrre miele o i vari sottoprodotti dell’alveare come cera e propoli, ma avere api libere di percorrere il proprio processo evolutivo , ma soprattutto organismi  alveare che sopravvivono senza nessun intervento da parte dell’uomo. Un’utopia? Ma  è ciò che dovrebbe essere in natura! Negli anni si è sparsa la voce del mio percorso, ma soprattutto che c’era qualcuno che promuove un apicoltura non solo libera dalla somministrazione di principi attivi ma anche dalle numerose tecniche di intervento ritenute oggi indispensabili sia per la vita delle api che per la produzione. Ciò ha smosso l’interesse di alcune associazioni apistiche che spinte da curiosità o  scetticismo volevano comprendere cosa fosse la permapicoltura. Ho animato così degli incontri aperti per informare le persone interessate, imbattendomi in alcuni apicoltori spinti dall’idea che questo approccio contribuisse al diffondersi e al proliferarsi di malattie e maggiori infestazioni. Ma  sono forse le mie arnie in permapicoltura o quelle di altri permapicoltori a essere il problema dell’apicoltura oggi? Le stesse associazioni apistiche di tutta Italia sono consapevoli che parassiti come la varroa hanno sviluppato ceppi più virulenti per l’uso di prodotti di sintesi e non certo per arnie lasciate in condizioni semiselvaticha.
Attualmente non ho incontrato resistenze ma tanti apicoltori che non vedono la permapicoltura di buon occhio. Ciò è comprensibile perché la permapicoltura scardina i principi base dell’apicoltura, ma soprattutto perchè le informazioni attinenti al tema sono scarse o descritte male. Lo stesso Oscar Perone promuove un’arnia molto grande di dimensioni per i nostri contesti climatici e qualche anno fa è uscito un piccolo manuale di permapicoltura scritto da Gabriele Primavera che si limita a descrivere come costruire l’arnia proposta da Perone senza entrare in dettagli tecnici apistici che a mio avviso sono fondamentali. Questo ha contribuito a dar vita all’idea che fosse l’arnia in se stessa a essere la soluzione di tutti i problemi che oggi abbiamo con le api. Ma è più complesso di così.
Quali ritieni siano i benefici che si possano trarre da questo approccio?
I benefici che si possono trarre da questo approccio sono molteplici. Prima di tutto meno costi per gli apicoltori per mantenere in vita le proprie api. Promuovere un allevamento basato sulla selezione di api che vivono in condizioni piu vicine alla natura è un investimento per ogni apicoltore e la strada più sensata per api più resistenti. Restituire al genere apis mellifera la giusta collocazione su un piano evolutivo della specie, riconoscendone non solo un ruolo fondamentale per l’ecosistema, ma anche come individuo in grado di adattarsi. Di fronte a un evidente fallimento della lotta abbattente con prodotti di sintesi verso le varie paologie delle api, negli ultimi anni l’apicoltura convenzionale promuove una selezione artificiale di individui piu idonei, basata su presupposti e criteri legati non solo alla produzione ma soprattutto alla sua virulenza e sulla sua capacità di resistenza ai fattori patogeni. Vengono cosi fecondate artificialmente regine con fuchi selezionati con caratteristiche di pregio da introdurre sul mercato che ogni apicoltore può acquistare per il proprio apiario.
Ritengo che ottenere api resistenti senza mettere in discussione il tipo di allevamento che si conduce sia controproducente. Non sono solo le caratteristiche genetiche di alveari più longevi a fare la differenza ma è il modo in cui vivono che permette all’organismo alveare di attuare le proprie strategie di difesa o sviluppare nuove capacità di adattamento ad un contesto climatico sempre piu irregolare. L’ apicoltura convenzionale si basa su individui selezionati dall’uomo e su sciami artificiali e non su processi naturali; come stupirsi se questi esseri oggi dipendono dagli interventi umani o dai farmaci? Dagli anni Ottanta con l’arrivo della varroa, patologia che può essere considerata il nemico numero uno in apicoltura, l’essere umano ha cercato di eliminarla rafforzando l’acaro e indebolendo di fatto le api. Ogni apicoltore sa perfettamente che le cose sono andate così! Non si è pensato a sostenere un processo di coesistenza che la natura prevede, creando un giusto equilibrio tra parassita e soggetto parassitizzato, ciò a contribuito alla situazione odierna. Dopo trentacinque anni di lotta contro il parassita l’uomo ha passato forse due generazioni , il genere apis mellifera almeno venti. Venti generazioni costrette a subire strategie e interventi sempre piu invasivi. In questo contesto come può un individuo evolvere sviluppando tecniche di difesa?
La permapicoltura ad oggi non può competere con i risultati di produzione dell’apicoltura convenzionale, ma sostenere un processo di evoluzione naturale sarà inevitabile in quanto i soggetti selezionati dall’uomo sono sempre più deboli. Lo stesso Padre Adam, ritenuto uno dei padri dell’apicoltura moderna, e spesso non inserito nell’apicoltura naturale, dopo oltre 50 anni di selezione di api ha sostenuto che ottenere in purezza una razza resistente ai vari patogeni è un compito che spetta solo alla natura, in quanto l’apicoltura moderna sembra andare sulla direzione opposta. Chi intraprende un percorso in permapicoltura dovrà tener conto di probabili morie, e un calo di produzione, ma sono le leggi della natura e non possiamo far altro che rispettarle o assecondarle nel miglior  modo possibile; l’analisi e l’osservazione diretta sul campo. Le api  sono un campanello d’allarme di notevole spessore, il genere umano non può permettersi di andare contro natura, ne vale la sua stessa vita. Sarei un pazzo ed un illuso a pensare che ogni apicoltore possa intraprendere questo processo, ma gradualmente senza compromettere il proprio apiario si può iniziare ad installare apiari in permapicoltura magari seguiti da associazioni apistiche o dagli enti del settore. Offrire uno spazio semiselvatico alle api può contribuire ad un cambio di rotta dalle piu ampie portate con tempistiche molto piu brevi di quelle che si possa pensare.
Da quanti anni sei impegnato su questo fronte? Un bilancio?
Sono 6 anni che sperimento nel mio apiario la permapicoltura. I primi anni il tasso di mortalità è stato notevole, negli ultimi tre anni selezionando sciami naturali dagli alveari sopravvissuti la mortalità è calata. Fondamentale è la scelta dello sciame iniziale e la sua provenienza. Lavoro solo con sciami naturali e non utilizzo o non acquisto pacchi d’ape o sciami artificiali. Attualmente il mio apiario è composto da 10 alveari, che non tratto con nessun tipo di principio attivo e non somministro nutrizione, le ispezioni interne sono ridotte o inesistenti. Sono consapevole che non è un numero elevato di alveari, ma quanto basta per dire che senza trattamenti o senza acquistare e selezionare regine con chissà quali caratteristiche ho  organismi alveari sani con un corredo genetico che si sta rafforzando. Ma lo stimolo maggiore che rafforza la mia visione della permapicoltura si basa sul monitoraggio di alveari che vivono allo stato selvatico. Senza nessun intervento da parte dell’uomo questi alveari presentano grande forza e vitalità. Non importa risalire al ceppo di provenienza, anche perché tale obiettivo non è facile da risolvere, ma soffermarsi nella modalità e nelle caratteristiche in cui essi vivono. Un altro luogo comune che ritengo importante sfatare è che le api selvatiche non sono più presenti nel nostro territorio. Molti apicoltori sostengono che quando ci si imbatte in questi tipi di alveare spesso sono ritenuti nuovi sciami che ripopolano un vecchio nido, si ha così l’impressione che l’alveare in questione possa vantare di avere diversi anni. In alcuni casi questa interpretazione può essere reale, ma in altri a mio avviso può essere smentita. Attualmente non vi sono le condizioni, sociali, culturali, urbanistiche e pratiche che garantiscono agli alveari uno spazio in cui vivere in modo selvatico. Per questo ritengo che l’approccio della permapicoltura possa realmente offrire loro condizioni di vita il piu naturali possibili. Una nuova allenza appunto, in cui il genere apis mellifera ci lancia un messaggio chiaro ed esplicito. Non intervenire  nei processi naturali puo apportare molto più beneficio rispetto all’intervento coercitivo dell uomo.
Per quanto riguarda la produzione di miele, non ho al momento una produzione paragonabile all’apicoltura convenzionale. Ma è anche vero che la produzione di miele a livello nazionale sia nel 2017 che nel 2016 è calata vertiginosamente, prevalentemente per motivi climatici. Inoltre le arnie in permapicoltura sono più grandi per quanto riguarda le dimensioni del nido, ciò permette all’organismo alveare di avere piu scorte per l’inverno ,ma implica un buon  pascolo per assicurare all’apicoltore del miele nei melari.

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