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La terra a chi la lavora!

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Il 17 aprile del 1996  la polizia brasiliana assassinò 19 contadini del Movimento Sem Terra durante i lavori della seconda conferenza internazionale della Via Campesina. Da quel tragico giorno questa data viene celebrata come giornata internazionale della lotta contadina, in omaggio a tutti i contadini che chiedono sovranità alimentare, una riforma agraria, avere accesso alla terra. E tra tutte le lotte contadine quella per l’accesso alla terra è sicuramente la più importante e sempre molto attuale.
C’è un piccolo paese nel cuore dell’Andalusia dove la terra è stato l’elemento fondante della comunità. Terra che è stata occupata dai braccianti agricoli disoccupati, perché inutilizzata, ostaggio di latifondisti e grandi proprietari terrieri che non avevano necessità di coltivarla e sopratutto non si curavano delle condizioni degli abitanti dei dintorni, che invece facevano fatica a sopravvivere. La terra occupata è stata poi coltivata e resa produttiva e dopo scioperi della fame, manifestazioni e la presentazione di un valido progetto alla Junta de Andalusia, è stata finalmente concessa ai braccianti agricoli affinché la lavorassero.
Marinaleda è a circa 100 chilometri da Siviglia. Il paesaggio per arrivarci è fatto di mandorleti, uliveti e paesini con case dipinte di bianco e giallo. Siamo alla fine degli anni settanta, la Spagna è appena tornata alla democrazia dopo la brutale dittatura di Francisco Franco e la disoccupazione in Andalusia raggiungeva percentuali altissime. Gli abitanti di Marinaleda erano stanchi di vivere di sussidi che arrivavano un mese sì e un mese no, così – guidati da Manuel Sanchez Gordillo, primo sindaco eletto in democrazia e tuttora alla guida del paese – chiedono che la Terra circostante il paese possa essere lavorata. E ci riescono. Da allora le terre sono state acquistate dalla Junta de Andalusia e attribuite ai comuni limitrofi, ma solo a Marinaleda hanno deciso di gestirle in maniera collettiva per fare in modo che tutti ne potessero usufruire. Attraverso le assemblee comunali hanno deciso di creare delle cooperative per la gestione, e oggi da oltre tre decenni le cose continuano a funzionare, nonostante la crisi. É diventata anche un esempio per altre esperienze.
“La terra a chi la lavora”
Questa è una delle frasi di Emiliano Zapata che si legge in uno dei tanti murales del paese. In questi tempi di crisi Mrinaleda ha attirato l’attenzione mediatica per la gestione collettivista dell’intero paese. Quasi tutti i suoi abitanti lavorano e quasi tutti hanno una casa, anche se il sindaco in carica da più di 30 anni, è stato criticato per questa sua lunga e ininterrotta esperienza alla guida del paese modello. I suoi detrattori sostengono infatti che Marinaleda può reggersi solo grazie agli aiuti del governo centrale di Madrid e quelli dell’Unione europea. Questa è una delle osservazioni più frequenti, anche se a vedere bene, in realtà si tratta degli stessi aiuti che ricevono anche gli altri paesi della zona. La differenza sta nel come vengono amministrati, come dice Saul, un giovane che lavora al centro culturale di Marinaleda: “[…] l’unica cosa è che nel momento in cui si decide come organizzare l’amministrazione del comune ci sono delle grandi differenze. Per quanto riguarda per esempio la concessione di abitazioni, la suddivisione dei posti di lavoro, usiamo metodi diversi, ma le relazioni con i paesi vicini sono buone. Quando qui a Marinaleda è iniziata la lotta per la terra, è stata la conseguenza di una serie di cose, era necessario dare delle risposte a una situazione di necessità. Di solito solo nei momenti di grande difficoltà si dà il via a dei grandi cambiamenti. […] Qui c’erano una serie di circostanze, non c’era lavoro, non c’erano case per la gente e le poche che c’erano non avevano l’acqua corrente, un’insieme di cose  che ha fatto sì che le persone rispondessero a una proposta alternativa e iniziassero a lottare per questa proposta”. Nei paesi più vicini in effetti la situazione è molto diversa, ad Estepa per esempio (10 chilometri da Marinaleda)  buona parte della popolazione lavora nelle fabbriche dolciarie, mentre a El Rubio (paese gemello a due chilometri) la gente ha preferito emigrare piuttosto che lottare.
La lotta di Marinaleda ha invece portato all’occupazione prima, e all’autogestione poi, di terre che erano proprietà di latifondisti vicini alla dittatura di Franco, vastissimi appezzamenti incolti, mentre la gente aveva difficoltà a sopravvivere. Oggi queste terre sono gestite dal comune e quelli che prima erano braccianti agricoli oggi sono soci della cooperativa “el Humoso”, dove si coltivano ortaggi per l’autoconsumo, mentre  l’eccedenza viene venduta o trasformata nella fabbrica di conserve che imbottiglia e inscatola. Attraverso l’organizzazione di turni stabilita nelle assemblee comunali, si fa in modo che tutti quelli che sono disposti a lavorare nella cooperativa possano farlo, cercando di fare in modo che a rotazione, almeno un componente della famiglia lavori, garantendo così sempre un’entrata dignitosa.
La casa a chi la abita
In Spagna a pochi anni dalla crisi si superavano i sei milioni di disoccupati e una delle conseguenze più drammatiche alla perdita del lavoro è stata la perdita della casa. Si è arrivati a contare uno sfratto ogni cinque minuti. Le case sono tornate alle banche che però non trovando nuovi acquirenti data la crisi, rimangono vuote, creando una situazione paradossale: gente senza casa e case senza gente. Per questo da Marinaleda gli speculatori stanno alla larga. Qui si autocostruiscono solo le case che realmente servono per essere abitate, non per essere vendute e guadagnarci dai vari passaggi di compravendita. Chi ha bisogno di un’abitazione si iscrive ad una lista, e quando si raggiunge un numero cospicuo si cominciano i lavori ai quali partecipano gli stessi richiedenti. I terreni sono messi disposizione dal comune mentre i materiali sono anticipati dalla Junta de Andalusia. Questo anticipo viene poi restituito con il canone che viene pagato dagli abitanti costruttori, un canone quasi simbolico che ora è di 15 euro al mese. In cambio gli abitanti non possono vendere la casa ma solo cederla ai parenti in modo da non alimentare le speculazioni. La casa a Marinaleda viene considerato davvero un diritto fondamentale, come il lavoro.
Altre esperienze Andaluse
Marinaleda però è solo una delle esperienze alternative in Andalusia. In realtà altre occupazioni di terre si sono succedute, sopratutto a partire dal 2011 anche a seguito del movimento degli “Indignados” che scese in piazza il 15 maggio di quell’anno.  Occupare è diventato un modo per rispondere a una situazione di disagio per la mancanza di risposte politiche, molti spagnoli si sono resi conto che manifestare non è più sufficiente, non serve e non porta a soluzioni concrete. I disoccupati chiedono terra da coltivare in una zona d’Europa dove la riforma agraria risale al 1932, per questo ancora oggi il 2% dei proprietari terrieri possiede il 50% delle terre andaluse. Alla base delle occupazioni, che certamente nascono per uno stato di necessità estrema, sono legati anche discorsi più ampi come l’affermazione della sovranità alimentare, il km 0 e più in generale un ritorno all’attenzione per quello che si consuma, per la salute, e gli effetti che si hanno nel produrre, per questo molte di queste esperienze hanno scelto di coltivare cibi biologici, con attenzione alla stagionalità dei prodotti e alla cura della terra. È anche in quest’ottica più ampia chela terra a chi la lavorain Andalusia inizia ad essere realtà, ma anche l’esempio che lottare per la terra vale sempre la pena.
Elvira Corona è autrice di “Sì, se puede! Viaggio nell’Andalusia della speranza oltre la crisi”, Narcissus edizioni 2013, disponibile in e-book

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