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No ai pesticidi, sì al biologico

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L’Italia utilizza una elevata quantità di pesticidi e fertilizzanti chimici. L’allarme è stato lanciato anche dalle associazioni ambientaliste e i dati ci collocano fra i maggiori utilizzatori in Europa. Ma l’alternativa c’è.
Sono circa 134.242 le tonnellate di prodotti fitosanitari vendute in un solo anno in Italia, secondo l’ultimo rapporto Ispra, elaborato sulla base dei dati disponibili più recenti, risalenti al 2012. Più di 2 chili a persona di veleni irrorati nei campi, ma utilizzati ormai dappertutto, nelle aiuole pubblica, nei giardini di scuole, asili, ospedali, sui marciapiedi e persino nei cimiteri. Ma l’alternativa c’è e ce la spiega Francesco Beldì, laureato in agraria, esperto di agricoltura biologica e in forze all’Enaip di Busto Arsizio. Beldì è autore per Terra Nuova Edizione di “Biobalcone” e insieme a Enrico Accorsi di “Il mio orto biologico” e di “Il mio frutteto biologico”.
Molti non rinunciano alle sostanze chimiche pensando che le alternative siano troppo faticose e diano molta meno resa? Cosa ne pensi?
«Benchè i numeri rimangano ancora molto alti, l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti in Italia ha subito un calo a partire dal 2002 (quasi -30% per gli agrofarmaci e -25% per i fertilizzanti). Questa diminuzione dipende in parte da motivi economici, cioè dalla crisi del settore agricolo, dalla conseguente diminuzione del numero di aziende agricole e dall’aumento dei prezzi dei mezzi di produzione a fronte di un calo dei prezzi dei prodotti agricoli, ma a questo risultato hanno contribuito in modo determinante anche le politiche messe in atto dalle Regioni. In queste decisioni la spinta culturale promossa dal settore biologico ha giocato un ruolo importante. I coltivatori bio hanno dimostrato che si possono ottenere produzioni di alta qualità e quantitativamente soddisfacenti evitando l’impiego di fertilizzanti e fitofarmaci di origine chimica, purché l’agricoltore abbia accresciuto il proprio bagaglio professionale in termini di conoscenze sulle tecniche di coltivazione e di difesa delle piante. In questo senso fare agricoltura biologica è più faticoso, perché richiede un continuo aggiornamento professionale e una continua attenzione da dedicare alle coltivazioni. Alcune tecniche di difesa delle colture si sono diffuse proprio a partire dalle esperienze pionieristiche degli agricoltori biologici. Sto pensando ad esempio alla confusione e alla distrazione sessuale, metodi di protezione dei fruttiferi e della vite dagli insetti carpofagi applicati oggi in Italia su oltre 60.000 ha, ma anche ai prodotti microbiologici, il più famoso e diffuso è il Bacillus thuringensis, utilizzati ormai solo per il 10% in agricoltura biologica, mentre il restante 90% è impiegato da aziende convenzionali. Oppure penso ai teli preseminati per le insalate da taglio, pensati per risolvere i problemi di controllo delle erbe spontanee delle aziende biologiche ed impiegati ormai diffusamente anche nelle altre aziende. Tengo a sottolineare questi fatti, perché l’agricoltura biologica è considerata spesso come un sistema di produzione conservatore, ancorato a tecniche cadute in disuso, invece, per me, rappresenta un settore rivolto verso il futuro che mette in atto tecniche innovative che consentono di far crescere e migliorare tutta l’agricoltura. Solo comprendendo che l’agricoltura biologica è un motore dell’innovazione agricola, le sue tecniche compatibili potranno trovare una diffusione ancora più ampia. Con questo non intendo dire che domani tutti gli agricoltori italiani possano avviarsi alla produzione biologica, perché restano alcuni nodi irrisolti. Per sgombrare il campo dall’idea che i problemi siano legati solo alla protezione delle colture ne cito due completamente diversi: la disponibilità di varietà idonee a fornire produzioni elevate impiegando le tecniche di coltivazione bio e la necessità di assicurare un’elevata fertilità del suolo per ottenere produzioni quantitativamente soddisfacenti». 
Cosa proponi per approcciarsi a orto e frutteto in modo biologico?
«Credo che il migliore approccio sia quello di porre al centro dell’attenzione del coltivatore la fertilità biologica del suolo. Il terreno è ricco di vita ed è questa vita che permette alle piante di crescere sane e di dare produzioni abbondanti. Questo significa spostare l’attenzione da quello che “mangiano” le piante all’ambiente in cui crescono e si nutrono le radici. Le concimazioni con letame o compost, i sovesci, l’attenzione a non ribaltare gli strati del terreno sono le basi su cui costruire una buona coltivazione biologica. L’impiego di antiparassitari naturali diventa poi una logica conseguenza a questo approccio. Poi per la coltivazione biologica dell’orto è necessario organizzare in primo luogo il controllo delle erbe. L’impiego della pacciamatura, meglio se organica nei piccoli orti, è quasi indispensabile per alcune colture, mentre per altre è necessario adottare criteri e distanze di semina che rendono più semplice l’uso della zappa o del sarchietto. Invece, ad esclusione di alcune avversità specifiche, ad esempio la dorifora della patata e la peronospora del pomodoro, il controllo dei patogeni è relativamente semplice, al contrario di quel che accade nel frutteto. Con poche eccezioni la coltivazione anche di un solo albero da frutta richiede una grande cura per il controllo delle avversità. Sarebbe opportuno sempre partire dalla scelta di varietà resistenti o tolleranti ai principali patogeni e far crescere le piante in modo da poter adottare tecniche, come la copertura della chioma con reti anti-insetto, che evitano anche l’impiego di mezzi biologici di difesa. Questo anche perché alcuni fitofarmaci bio (purtroppo in alcune zone capita ancora anche con il Bacillus thuringensis) non sono facilmente reperibili».  
Quali sono gli effetti positivi dell’approccio bio?
«Penso che ci siano molti i motivi per coltivare bio, i principali: 1. Chi coltiva evita di impiegare sostanze potenzialmente tossiche per se stesso 2. Si conserva o si aumenta la fertilità del suolo e con questa si accresce anche la quantità di carbonio stoccata nel terreno contribuendo a ridurre l’effetto serra 3. Si fa crescere la biodiversità. In un campo bio aumentano sia il numero di specie che il numero di individui presenti insieme alle coltivazioni. 4. Si ottengono prodotti di elevata qualità organolettica e nutrizionale e senza residui di antiparassitari. 5. Si collabora ad un’innovazione agricola attenta alla salute di operatori e consumatori e alla compatibilità ambientale».
CHI E’ FRANCESCO BELDI’
Francesco Beldì è nato a Genova e vive a Oleggio (No). Laureato in scienze agrarie nel 1990 a Milano, ha iniziato a interessarsi di agricoltura biologica nel 1991. Nel corso della sua carriera nel biologico si è occupato di ispezioni e controlli, assistenza tecnica alle produzioni, promozione e sviluppo di nuovi mercati. Attualmente cura i laboratori di orticoltura e frutticoltura biologica presso l’ENAIP di Busto Arsizio. Molto attivo nelle attività di formazione e divulgazione, spesso insieme a Enrico Accorsi, è anche autore di numerosi articoli in riviste specializzate. Collabora regolarmente con il mensile Terra Nuova.

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