Da trentasei anni Aiab (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) è una delle organizzazioni che sta al fianco degli agricoltori biologici per sostenerne le richieste, valorizzarne le peculiarità e per rivendicare norme e leggi che preservino un modo sano di coltivare e produrre cibo. Abbiamo intervistato il presidente Giuseppe Romano.
Da trentasei anni Aiab (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) è una delle organizzazioni che sta al fianco degli agricoltori biologici per sostenerne le richieste, valorizzarne le peculiarità e per rivendicare norme e leggi che preservino un modo sano di coltivare e produrre cibo. Abbiamo intervistato il presidente Giuseppe Romano.
Giuseppe, anche Aiab si è trasformata nel tempo. Quali sono stati gli ostacoli che avete incontrato e come li avete superati?
«Il mondo è cambiato radicalmente e velocemente negli ultimi cinquant’anni. Aiab si è costituita nel 1988, ma ha fatto parte dei Movimenti per la terra dei primi anni ‘70, dei movimenti per la sicurezza alimentare negli anni delle catastrofi nucleari, delle rinnovate esigenze dei consumatori dagli anni 2000; si è adoperata e si adopera perché i nostri ragazzi vengano nutriti in modo sano e pulito nelle mense scolastiche; ha fatto proprie le esigenze degli agricoltori; ha fatto propria la nascita dei biodistretti, quelli veri però, garantiti e certificati. Possiamo dire di essere stati protagonisti in questi 30/40 anni di storia, crescendo insieme ai nostri soci, senza mai perdere la coerenza della nostra visione. Proprio grazie a questo possiamo dire di esserci risollevati da un periodo molto difficile iniziato intorno al 2010. Siamo rimasti però, nonostante questo e in un periodo di forte crisi di rappresentanza, qualunquismo e pericolosa disinformazione, un punto di riferimento per i consumatori, per le aziende e per le istituzioni. Abbiamo continuato a portare avanti azioni di lobby presso il ministero e l’Unione europea. In rappresentanza, certo, degli agricoltori biologici che hanno scelto una strada forse più difficile a breve termine ma che a lungo termine oltre a essere remunerativa porta un contributo completo al difficile dilemma che stiamo vivendo. Ma anche in rappresentanza di quei consumatori attenti che sentono la responsabilità delle loro scelte e dei tecnici che devono fornire la giusta consulenza per un cambio di paradigma. Con un unico obiettivo: rappresentare un metodo di produzione in cui crediamo fortemente e di essere parte integrante di un miglioramento sociale e produttivo del paese».
Come siete organizzati sui territori? Chi e come può rivolgersi a voi?
«
Aiab è organizzata in 18 sedi regionali. Questo ci dà la possibilità di essere presenti sul territorio e di stare vicini agli agricoltori e ai consumatori tenendo conto delle numerose diversità tra regione e regione. Anche perché l’agricoltura in Italia è comunque di competenza delle Regioni ed è in quella sede che Aiab si muove. Per contattarci basta andare sul nostro sito dove si possono trovare i dettagli sulle diverse sedi regionali».
L’agricoltura virtuosa, biologica, rispettosa dell’ambiente e della salute è ormai sotto attacco. La Pac che ripropone meccanismi penalizzanti, l’avanzata dei nuovi Ogm, il green deal depotenziato e svuotato di quanto avrebbe potuto favorire la transizione agroecologica. Qual è la posizione di Aiab e come vi state muovendo su questi fronti?
«Il settore agroalimentare riveste un ruolo fondamentale negli equilibri ambientali, economici e sociali. Oltre a nutrire il pianeta è anche responsabile di una serie di criticità ambientali: dall’inquinamento delle falde attraverso la percolazione dei prodotti di sintesi, all’emissione di gas climalteranti provenienti dai grandi allevamenti intensivi, all’emissione di nitrati e nitriti in ambiente: un pacchetto di questioni che era finalmente diventato protagonista delle politiche europee, nella PAC e attraverso il concetto del Green Deal e la strategia Farm to Fork. Oggi questo passo avanti ha subìto una brusca battuta di arresto e rimangono i finanziamenti a pioggia con l’unico criterio delle dimensioni dei terreni invece che quello del metodo di produzione sostenibile. Gli ecoschemi, il miglioramento delle tecniche colturali, la riduzione dell’uso di fitofarmaci e le garanzie sulla condizionalità sociale sarebbero invece misure necessarie, che non prevedono grandi sforzi per le aziende ma, al contempo, cercano di arginare i danni ambientali e climatici, provocati dalla stessa agricoltura. Nonostante si tratti di norme blande, ben lontane dalle buone pratiche di gestione e di coltivazione dei terreni, evidentemente hanno dato molto fastidio all’agrobusiness e a tutti quei soggetti della filiera che realizzano un grosso profitto speculando tra il prodotto all’origine e il prezzo al consumatore. Il risultato è stato il ritiro della proposta legislativa sulla riduzione dell’uso dei pesticidi e il rientro in pompa magna degli Ogm con le New Genomic Techniques (Ngt). Tutto questo in barba al monito lanciato da centinaia di scienziati indipendenti, tra cui 27 premi Nobel, i quali hanno suggerito un’attenta valutazione dei rischi per gli ecosistemi e la salute pubblica. Le nuove tecniche genomiche non hanno mai sfamato il mondo e non lo sfameranno mai e in più porteranno allo sviluppo di resistenze e di criticità che fra qualche anno massacreranno le produzioni. In questo quadro, il biologico ha subìto gravi conseguenze dalla retromarcia europea. E ciò va a vantaggio di chi tifa per un modello di produzione ormai vecchio che causa perdita sistematica di fertilità dei suoli e di biodiversità e che produce cibo spazzatura inquinando le acque e i mari. Il biologico andava invece rafforzato, non dimenticando che il produttore è una figura chiave, che non può essere relegato alla figura di schiavo dell’agroindustria. È però l’agricoltore stesso a dover cambiare paradigma tornando a un’agricoltura non industriale che metta al centro la terra e l’uomo. L’agricoltore deve tornare a essere padrone delle sementi che coltiva e protagonista della filiera, abbracciando reti di vendita alternative alla grande distribuzione. I consumatori devono scegliere con consapevolezza cosa mettere nel carrello della spesa e le istituzioni devono fare attenzione a non screditare il bio con affermazioni insensate, solo per favorire l’agrobusiness».
Quali sono i problemi più urgenti che la vostra base si trova ad affrontare e quali le risposte possibili?
«Oggi fare agricoltura per i nostri soci è molto complicato. Le difficoltà sono soprattutto ambientali, come siccità, alluvioni, gelate improvvise, temperature troppo elevate. Chi non considera questa criticità sta negando l’evidenza e sta offrendo piccole soddisfazioni in cambio di un beneficio elettorale di medio periodo. Questo però significa tradire chi vive di agricoltura. Inoltre, visto che il biologico è ormai un settore importante che rappresenta una fetta di economia e di mercato considerevole, un maggiore sostegno alla ricerca è vitale. Il biologico, che Aiab rappresenta da 30 anni, ingloba e difende da sempre tutti questi concetti e rimette al centro il bisogno di produrre cibo rispettando le persone, la terra, la biodiversità, garantendo il giusto prezzo, e tutelando la salute dei consumatori e l’ambiente».
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